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 Libro scritto da me "La torre degli Eredi"

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MessaggioTitolo: Libro scritto da me "La torre degli Eredi"   degli - Libro scritto da me "La torre degli Eredi" Icon_minitimeSab Apr 27, 2013 4:44 pm

E' un libro che ho scritto (e mandato ad alcune case editrici, circa una ventina), di cui stò anche scrivendo un seguito. Vorrei postare alcuni capitoli (e se piace anche continuare) per sentire i vostri pareri

Prologo

PROLOGO – Agosto del 429 secondo il calendario Imperiale

Sebbene l’ascia si facesse sempre più pesante nelle possenti mani del ragazzo, questi non si dava per vinto, continuando a menare colpi all’impazzata. L’ennesimo elfo che tentava di entrare nella torre non fu sufficientemente veloce a sgusciare dentro, e con una rapida rotazione dell’ascia fini sbalzato a terra. Non sapeva dove fossero gli altri. Non sapeva cosa stessero facendo. Forse stavano seguendo il piano e quindi la sua fatica aveva un senso. Forse stavano fuggendo per salvarsi la vita … quante volte in quello stesso anno anche lui aveva accarezzato tale possibilità. O magari erano tutti morti. No, non poteva pensarci, non voleva crederci … eppure non sapeva da quanto tempo era in cima a quella maledettissima torre. L’elfo successivo cerco di spingerlo indietro con lo scudo. Il ragazzo ne era sprovvisto. Alzò la gamba possente, bloccando il pezzo di ferro con il piede, poi gonfiando le vene del collo, spinse con tutte le sue forze. Inizialmente l’elfo ebbe la meglio, spinto dai compagni alle spalle, poi con un grido, il ragazzo raddrizzò la gamba, e per le scale la caduta dell’elfo su seguita da una serie di tonfi e imprecazioni. Aveva guadagnato tempo. Si asciugò con il bordo del gomito il sudore, i lunghi capelli biondi erano appiccicati dal sudore. Diede un occhiata veloce alla finestra … sotto tutto pareva tranquillo, e il sole stava calando. Era quasi fatta. Si voltò con una nuova determinazione in volto, ma non si trovò davanti il solito elfo. Dal fondo delle scale vide avvicinarsi un orma … una figura incappucciata svoltò dalla rampa di scale. Non riusciva a scorgerne i tratti sotto il lungo mantello nero … il cappuccio ne copriva il volto, lasciando il viso in ombra. Non sembrava armato, ma il solito brivido gli percorse la schiena … non era come sembrava. In un istante la figura alzò il braccio e dal dito partì una scarica di energica, che sfrigolando nell’aria colpì il ragazzo alla spalla, facendolo girare su se stesso e mandandolo a sbattere a gambe all’aria contro un mobile, che finì in frantumi. Mentre le schegge volavano, infilandosi in buona parte nel suo petto nudo, il ragazzo cercava di riprendere fiato. In gola un sapore riarso di bruciato gli impediva di respirare … le orecchie rombavano, non vedeva ne sentiva, ma sapeva di non poter rimanere a terra. Non poteva tradire i suoi amici, il suo amore contava su di lui. Nel viso vide l’immagine del bel viso di lei sconvolto dal terrore. Si ritrovò in piedi senza sapere dove. In mano non stringeva più l’ascia. Si spinse risoluto avanti e sbatte contro un muro, rimanendo nuovamente disorientato. Non vedeva. Non sentiva. Scosse la testa e senti una fitta tremenda al lato della gamba destra. Sapeva dove colpire. Si spinse con tutto il suo peso in quella direzione. Un rumore secco anticipò il suo arrivo nel muro. Un ombra a sinistra, poco davanti a lui, si stava avvicinando. Incasso il colpo di lancia, e ruotando la spalla abbatte come un maglio la mano sulla testa del suo assalitore. Se l’elfo non avesse portato l’elmo sarebbe morto sul colpo. Invece rimase solo rintontito, non che la cosa gli fosse di conforto mentre riprendendosi si rese conto di cadere a testa in giù dalla torre. Il ragazzo perdeva molto sangue. Il moncone di una lancia infilzato sotto la spalla sinistra, un lungo taglio, profondo tanto da lasciarli nudo l’osso lo faceva vacillare ad ogni passo. Ma vedeva di nuovo. Quei maledetti elfi stavano finendo di salire le scale. Un corpo in posizione scomposto a destra reggeva ancora con dita fredde una corta lama. Il ragazzo la ignorò, afferrando invece i resti di un tavolo, e arrivato alla porta, lo lanciò di sotto di peso. Questo gli avrebbe dato il tempo di respirare. Afferrò l’ascia e controllo la ferita. Un anno fa quel colpo gli avrebbe staccato di netto la gamba. Ma un anno di fatiche e pericoli costanti potevano cambiare un uomo. E lui era un ragazzo, in fase di crescita, forte, spavaldo e innamorato. Sicuro della sua invincibilità. Senti un rumore graffiante provenire dal tetto, e alzando la testa fu costretto a ripararsi da dei detriti. Un pezzo del soffitto era stato tirato via. Lei era arrivata.
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MessaggioTitolo: Re: Libro scritto da me "La torre degli Eredi"   degli - Libro scritto da me "La torre degli Eredi" Icon_minitimeSab Apr 27, 2013 4:46 pm

Ed ora il capito 1 (che si svolge ovviamente molto prima del prologo)

CAPITOLO I IMPLUMI – Maggio del 428 secondo il calendario Imperiale

Essere sconcertati dai comportamenti altrui può essere normale, ma non lo è quando a farlo sono strani ed inspiegabili atteggiamenti di una ragazza che da sempre, dai tempi delle torte di fango sfornate sul lago Gosmen, consideri la tua migliore amica.

Da quel che Corin ricorda, Irina è sempre stata un tipo solare, in grado di rallegrarti la giornata con un sorriso, una battuta o una parola dolce, anche in quei bui giorni di pioggia autunnali in cui sembra che tutto possa solo andare storto. Per un periodo l’amica aveva anche tentato, pazientemente di insegnargli a leggere, ma senza grossi risultati.

Ricordava bene la festa di mezza estate di 3 anni prima, quando alla sera Corin era riuscito a liberarsi dal lavoro (all’epoca tagliava legna per Marc, il falegname del paese) per correre alla fiera cittadina e spendere la sua paga con un grosso e saporito zucchero filato. Gli occhi illuminati dalla contentezza, Corin passava dietro ad alcuni banconi del mercato, diretto verso la musica in piazza del Portico, dove molti giovani danzavano con le fanciulle o si lanciavano in sfrenati balli solitari, fra le risate generali. Tutto idilliaco sino a che non era finito a sbattere contro Darnoc, un ragazzone di 2 anni più grande, ben più largo e pesante del ragazzino che era Corin all’epoca. Il bulletto era da poco entrato nella milizia cittadina e in quel momento si pavoneggiava con il suo nuovo corpetto di pelle, un eredità del padre peraltro l’attuale sceriffo di Limbas, quando un Corin sognante lo aveva spintonato facendolo finire in avanti contro una giovane ragazza del paese, che in tutta risposta aveva rifilato a Darnoc uno schiaffone, andandosene indignata. Corin si era visto sollevare di peso e spingere contro un muro, mentre altri ragazzi del gruppetto di Darnoc accorrevano dai dintorni. “questa volta l’hai combinata grossa, pisellino” e avrebbe rifilato un pugno direttamente sul naso di Corin (che si era ritrovato a pensare che fortunatamente non era armato) e Irina non si fosse aggrappata alla schiena di Darnoc, dicendo “e dai, Darnoc, un uomo come te non può certo prendersela per le bighellonate di uno sbarbatello come lui … lascia perdere e vieni a ballare”. Al che Darnoc si era voltato indeciso, poi dando una manata allo sfortunato zucchero filato, si era voltato grugnendo “sei fortunato Bambino … oggi sono di umore buono”. Corin si era accorto che Irina gli aveva fatto l’occhiolino da dietro il braccio di Darnoc, mentre gli altri ragazzi, visto che li ormai non ci si sarebbe divertiti, si erano dispersi in tutte le direzioni, lasciando uno sconcertato Corin da solo, a guardare il suo zucchero filato nella melma, con l’acquolina in bocca e le gambe tremanti dalla paura.

Da allora si era ritrovato diverse volte a vedersela con il bulletto, che sembrava averlo preso di mira. Alle volte Irina era riuscita a salvarlo dai lividi di una scazzottata, ma altre volte era stato colto da solo, e si era visto costretto a venire alle mani con un tipo ben più maturo di lui, anche se alcuni sonori colpi era riuscito a rifilarglieli, tanto che Darnoc sembrava prenderlo di mira solo in compagnia dei suoi amici, e solo per mantenere la facciata di gradasso.

Si era infatti accorto dello strano comportamento di Irina proprio in una di quelle occasioni. Stava trasportando una carriola di legna per Marc, senza accorgersi della presenza di Darnoc, che lo aveva sgambettato facendogli spargere per tutto il sentiero del paese ciocchi di legna di varie dimensioni. Uno dei ciocchi era finito sui piedi di Darnoc, che infuriato aveva rifilato un calcio nello stomaco di Corin, chinato per raccogliere la legna, e facendogli sfuggire un mugolio di dolore. Allora si era accorto di Irina, che si stava avvicinando. Non era certo tipo da aver paura di Darnoc, non più almeno, e di certo non sarebbe nascosto dietro ad una sottana, ma in quella situazione, con quel bestione sopra di lui, per altro armato per la ronda in paese, con quella vecchia lancia arrugginita in mano e il volto contratto dalla collera, sperava in un aiuto da parte della ragazza. E mentre Darnoc si divertiva a sommergere l’indifeso Corin di calci, Irina gli era passata accanto, sguardo fisso a terra, senza badare a loro, tanto che Corin, sorpreso era rimasto ad osservarla sbalordito, prendendosi la punta di uno stivale direttamente nell’orecchio e stramazzando al suolo svenuto. Al che Darnoc si era fermato, allontanandosi e lasciando Corin in una pozza di sangue.

Il ragazzo si era ripreso pochi giorni dopo, scoprendo che Marc lo aveva licenziato, che era nevicato, e che Irina sembrava sparita. Certo, lui sapeva dove trovarla, quello che non sapeva, era se aveva voglia di andare a trovarla. In fondo erano amici, no? Allora perché lasciarlo in balia di quel bruto?

Sapeva che alla ragazza piaceva la tranquillità della fornace del carbone di legna, nel boschetto di noccioli. Li avevano passato, qualche anno prima, un intera estate, controllando il carbone per la forgia del fabbro, che assieme a Marc aveva ricevuto un grosso ordine di carri dalle ruote pesanti per le salmerie dell’esercito. Quel posto riparato, quasi sempre inutilizzato e tranquillo piaceva alla ragazza. Lei amava starsene ad ore ad osservare il bosco circostante nelle notti estive, vicina alla grande catasta di legna, osservando con occhi sognanti quelli che lei chiamava gli spiriti della foresta, le ombre che camminano, a cui lei per placarli, lasciava piccole offerte delle sue magre razioni di cibo freddo.

Corin sapeva che anche se Irina amava la compagna e la risata facile, e nelle feste in paese era sempre la prima a buttarsi nelle danze, delle volte aveva bisogno di starsene tranquilla, e lui poteva facilmente immaginare dove fosse andata ora la ragazza, e quindi stando ben attento a non farsi scorgere, si incammino nel bosco, tagliando una curva e ritrovandosi poco dopo sul sentiero che dal villaggio conduceva alla radura del falò. Sebbene l’inizio del percorso fosse ben visibile dal villaggio, dopo quella prima curva repentina rimaneva ben celato dagli alti pini della valle. Corin conosceva bene quella strada, molte volte era stato costretto a prenderla per arrivare non visto al falò, per evitare Darnoc appostato in attesa all’’uscita del villaggio. E quel bestione stupido non era mai arrivato alla conclusione che Corin semplicemente facesse un'altra strada … certo lo considerava un codardo e quindi non avrebbe mai immaginato che sarebbe mai passato dal boschetto … si fosse mai premurato di perlustrare la strada, avrebbe visto che la strada non era poi così lunga, così per un intera estate Darnoc si era svegliato sempre prima la mattina, credendo che Corin facesse lo stesso, mentre il ragazzo se la dormiva della grossa al caldo del suo soppalco dall’altro lato del villaggio.

Non la vide subito, raggomitolata sotto una vecchia coperta di lana, mimetizzata contro il vecchio tronco di pino e completamente immobile e sognante. Corin si mise a sedere a canto a lei, che sussultò, e al ragazzo parve di vedere spegnersi una scintilla ti fiamme fra le mani della ragazza. “scusa, non volevo spaventarti …” poi prese la sua esca e comincio a far prendere una piccola fiammella, senza notare che Irina non aveva altro che la sua coperta con se, quindi niente esca e acciarino. Ma accese una fiammella scoppiettante, poi accoccolandosi accanto a lei e spingendole le mani verso la fiammella. Erano gelide le sue mani, e la ragazza tremava anche (sebbene impercettibilmente), appoggiando la testa riccia alla spalla di lui, singhiozzo tra le lacrime.

Se una cosa lasciava interdetto Corin, erano le lacrime di una ragazza … i ragazzi non piangevano, non era da duri, mentre le smorfiosette del villaggio strillavano ad ogni occasione, ma piangere in quel modo, silenziosamente, senza un motivo. Lui le sollevò il volto e vide che era rigato di lacrime. Irina piangeva da molto, ben prima che arrivasse lui, gli occhi arrossati e il viso paonazzo, sembrava stravolta. “cosa ti succede? È stata ancora quella smorfiosa di Drina?”. Irina scosse la testa, scoppiando in altri singulti. Dopo un lungo e imbarazzante silenzio, la ragazza sollevò il volto ed osservò Corin. Poi disse “me ne vado, Corin.” Quell’unica frase lo colpi come uno dei pugni di Darnoc … Irina voleva andarsene? E dove? Perche? Cos? Non riusciva a formulare pensieri coerenti, mentre la ragazza si alzava, così lui realizzo. Era sicuramente uno scerzo … lei non piangeva nemmeno più. Si alzo in piedi dandole un sonoro scappellotto sulla spalla e dicendo “quasi me la facevi … ti pareva che andavi via … ma dove? Comunque non farmi più scherzi così … e poi l’alto giorno, perché non mi ai aiutato con Darnoc, sono ancora pieno di dolori …” e si prese uno schiaffo in pieno volto.

Voleva veramente andare via. A questa conclusione era arrivato nel percorrendo un passo dietro di lei la strada del ritorno. Le aveva chiesto, seriamente questa volta, dove volesse andare, e la ragazza si era limitata a rispondere “via da qui, non importa dove, presto qui per me non ci sarà più posto”. E quando Irina si era messa a correre nella direzione opposta tornando al falò, gridandogli di seguirla alla svelta, gli ci era voluto un bel po’ per notare una volpe di bosco che correva verso di loro lungo il sentiero, con la bava alla bocca e gli occhi stralunati. Rabbia, aveva la rabbia. Era l’unica cosa che il ragazzo riusciva a pensare mentre l’animale gli correva dietro, guadagnando terreno, e meno male che si erano allontanati a passo lento, così erano abbastanza vicini al bivacco. Ma poi cosa sarebbe cambiato? Ecco cosa pensava lui. Mentre lei prendeva una decisione. Irina cambiò direzione e si lanciò verso l’animale. La scena sembrò svolgersi a rallentatore. Lui che osservava lei. Irina che calciava verso la volpe, che le azzannava una caviglia, strappandogli un pezzo di tessuto dalla gonna. Era definitivamente ammattita, pensò Corin, basta un solo morso di un animale con la rabbia per morire tra atroci dolori, e lei gli si era lanciata contro. Non notò che in quel momento non piangeva. Non si accorse nemmeno dell’animale in fuga. Guardava solo Irina che zoppicando e perdendo un po’ di sangue da un piccolo squarcio si avvicinava a lui dicendo “come stai? Tutto a posto?”. Lei chiedeva a lui come stava? Era stata morsa da un animale con la rabbia. “per Quellas, perché ti sei ammattita?” le gridò Corin stando un mezzo metro indietro, come se la ragazza potesse contagiarlo solo sfiorandolo. Lei si fermò. Lo osservò decisa e poi si sfogò “ti sei lamentato che non ti ho aiutato? Ora l’ho fatto … ti ho protetto adesso, e non fare quella faccia, che tanto io … io dovevo comunque andare via, o ammazzarmi, tanto cosa cambia visto cosa sono diventata? Tu stesso ti allontani da me, figurati gli altri, mi scacceranno a sassate!”. Corin si appoggio ad un pino, e con lo sguardo a terra capì una volta di più che voleva bene a quella sua dolce amica. Poi fu fulminato da un idea, lei si sbagliava e glielo disse “ma tu prima non eri infettata, quindi perché volevi andare via, cosa ti era successo? E anche ora, chi ti dice che tu lo sia?” Ma gli resto comunque lontano, senza osare guardarla. Lei gli passo accanto, e disse “non è alla rabbia che mi riferivo, ma ad una malattia dell’anima, io sono corrotta” la voce della ragazza era roca, e Corin non riusciva a capire. Lei urlo al celo “perché a me?” crollo in ginocchio, la testa dondolante, e Corin la sorresse, incurante della rabbia, chiedendosi solo perché non era riuscito a fermarla. La sollevò da terrà e si incammino verso il villaggio. Sembrava così leggera, si ritrovò a pensare mentre calava il sole e doveva rallentare per evitare di inciampare.

Non avvisò i genitori della ragazza, ne i suoi. La portò al fienile dietro a dove lavorava ormai spalando letame, adagiandola su una balla di fieno e coprendola con la sua coperta. Osservando le stelle si chiese cosa potesse fare. Passo la notte così, a riflettere.

--

se vi va, ditemi cosa ne pensate
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Pelleverde
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MessaggioTitolo: Re: Libro scritto da me "La torre degli Eredi"   degli - Libro scritto da me "La torre degli Eredi" Icon_minitimeLun Apr 29, 2013 8:31 pm

Bello! Bravo e anche epico, compliemnti!
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MessaggioTitolo: Re: Libro scritto da me "La torre degli Eredi"   degli - Libro scritto da me "La torre degli Eredi" Icon_minitimeMar Apr 30, 2013 7:04 am

grazie, vado avanti con il 1° capitolo

La mattina quando Irina si svegliò con accanto un piatto fumante di legumi. Irina si sentiva debole, le tremava un po’ la mano e aveva fretto, nonostante la pesante coperta conciata di pelle di pecora. Corin non era li, ma però doveva esserci stato fino a poco fa, il piatto era caldo. Cerco di sistemarsi meglio, appoggiando la schiena al covone, ma anche così faceva moltissima fatica. Afferrò il piatto cercando di bere, ma il tremore riprese più forte, così che si versò parte della minestra addosso, trasalendo per il calore improvviso. In breve la brodaglia si raffreddo sulla coperta e lei fu costretta a togliersela a fatica, e poggiandosi sui gomiti, con il piatto a terra, cominciare a bere, come un animale, la corroborante colazione. Ben abbondante a dire invero. Quando ebbe finito, si guardò finalmente intorno. Balle di fieno, grossi teli e corde di canapa, gioghi e pastoie. Un paio di forconi in un angolo. Doveva essere uno dei fienili dietro le fattorie o i porcili del paese. Irina si mise a sedere, la brodaglia le aveva ridato un po’ di energia, sebbene il tremore alla mano rimanesse. La osservò. Bianca, con la pelle tesa e sudata. Si toccò la fronte e trasalì perché proprio in quel momento entro Corin tirando una carriola puzzolente. Appena vide che era in piedi, le si sedette a canto.

Le disse di averla portata in spalla fino li, non volendo spaventare la gente, sapeva come trattavano queste cose, al che Irina sospirò. Era triste, ma rassegnata e in qualche modo serena. Forse questo era destino, non c’èra cura alla rabbia, ma Corin le sorrideva. “perché sorridi?” gli chiese. Lui si tirò in piedi e gli racconto cos aveva scoperto di prima mattina, in locanda.

In paese era arrivato un uomo anziano, dalle spalle larghe sotto il mantello di tela logoro per le intemperie. L’uomo aveva ordinato la stanza migliore alla locanda, pagando sia quella, che la cena, con sonanti monete d’oro dal conio sconosciuto. La gente era rimasta ammirata. Era arrivato al villaggio molto presto, su un vecchio mustang pezzato, cavallo che aveva preteso di strigliare e impastoiare da solo, pagandogli però un intera ala della piccola stalla della locanda, per altro mezza vuota. Quando Corin era arrivato, trafelato, per prendere lo stufato, l’uomo che era vicino a lui, si era alzato e per un istante il ragazzo aveva visto luccicare l’elsa di una grande spada, intarsiata di pietre azzurre, ed una cotta scintillante. L’uomo parlava un dialetto strano, che Corin non capiva. Nel villaggio, per la vicinanza con il regno degli elfi di Tur-jassar (con i quali, per commercio, aveva più contatti che con l’impero Grahazar, di cui nominalmente faceva parte), si parlava principalmente elfico, e Corin non faceva eccezione. Però si era reso conto dello stranissimo accento del vecchio baffone, che parlava lentamente e sempre con un sorriso.

Irina si spazzi enti, dove diavolo voleva andare a parare? Inoltre cominciava a sentire gracchiare la gola. Non stava bene, era ovvio, ma Corin era troppo eccitato per accorgersene. A volte quel ragazzo si perdeva in un bicchier d’acqua, mentre altre volte era il tipo più superficiale che avesse mai visto. Lui continuò dicendo di aver chiesto informazioni a Trugo, l’oste del villaggio, che in gioventù si vantava di aver viaggiato a lungo, aveva parlato a lungo con lo straniero. “è un cavaliere del Mattino Meriglio, l’ordine templare di Tranis, la capitale dell’impero” gli aveva sussurrato. Lo aveva riconosciuto dalla spilla al collo dell’uomo, un sole dietro un monte. Da quel che aveva intuito era riuscito a capire che l’uomo cercava qualche cosa nella regione, ma non sapeva bene cosa. “Non che mi interessi” aveva aggiunto Trugo. Ma Corin sapeva bene che l’oste era un gran pettegolo. In breve tutti avrebbero saputo e il cavaliere sarebbe ripartito. “ma qui viene il bello!” disse Corin su di giri. “ricordi le storie di mia nonna?” aveva ripreso il ragazzo. “quelle in cui cavalieri in armature scintillanti salvavano fanciulle in pericolo e sanavano i malati con il tocco della mano? Tu sei entrambe le cose … sicuramente ti aiuterà!”. “gli hai parlato?” chiese Irina. Quella domanda lo fulminò. Era tornato di corsa a portare la colazione all’amica, poi il fattore lo aveva fermato facendogli fare delle commissioni (si annusò) e ora puzzava anche di letame. “vado a portarti il cavaliere” disse il ragazzo all’amica, uscendo di corsa e lasciando lei sbalordita, il piatto fumante li vicino e la carriola puzzolente a si e no un metro da li, dietro la porta. “se qualcuno apre la porta più di così” si disse Irina “finirò sommersa dal letame”.

Stette per molto tempo ad osservare il soffitto, con le ragnatele che si scuotevano dal soffitto, quel posto era pieno di ragni. Era usato da anni solo come magazzino, e quindi visto il momento di magra che il villaggio attraversava, era praticamente vuoto. Circa 6 anni prima, o erano 7? Vicino al villaggio era stata scoperta una vena d’oro. Subito erano giunti viaggiatori dalla regione, affollando i dintorni del posto con le loro tende. In breve tempo erano sorti due problemi. Il primo, facilmente risolto, dei rifiuti. Erano state scavate latrine comuni, che di volta in volta venivano ricoperte, creando ottimi terreni fertili, ed un puzzo atroce nei dintorni. Il secondo, quello di immagazzinare prima i viveri, poi l’oro rinvenuto dai cercatori. Erano stati allora costruiti una decina di grossi capanni, per contenere biada di animali, scorte di derrate alimentari, attrezzi e uno più piccolo, da riempire d’oro. Il problema è che la consistenza della vena d’oro si era rivelata ben misera, esaurita in meno di un mese, sebbene i cercatori fossero rimasti ben di più. Così i capanni erano rimasti, la gente ne aveva fatto argomento di conversazione per un anno circa, fino a che il secondo momento di notorietà del villaggio era arrivato. L’esercito aveva commissionato grossi carri pesanti dal maestro d’ascia per cui Corin lavorava prima, a quel punto era stata costruita la fornace per il carbone di legna, dove Corin era venuto a cercarla. Probabilmente era stato scelto il suo piccolo villaggio non per l’abilità di Mark, ma più facilmente perché isolato, e l’esercito ama la segretezza. Strano come il suo piccolo paese fosse solito costruire, per poi abbandonare e passare ad altro l’anno dopo. Si adattavano per vivere, oppure erano eterni sognatori, pronti a credere e prestar fede al primo arrivato? Sentiva freddo … era finita a terra senza accorgersene, eppure aveva fatto un bel volo sul duro pavimento di terra battuta e paglia del fienile. Provò a tirarsi su, strinse i denti, alzandosi pian piano a sedere, ma poi perse l’appiglio ripiombando a terra, con il cuore impazzito e il sudore a permearle la fronte. Ora era terrorizzata. Non sapeva se dar credito o no alle storie delle vecchie comari, che spesso sparlavano. Ma era una possibilità, e lei voleva aggrapparcisi fino allo stremo.

Corin era preoccupato. Il capannello di gente presente fino a poco prima in locanda era sparito. Entro di corsa guardandosi intorno, vide Trugo che chiacchierava con un paesano, e ci si fiondò. “d’ove il cavaliere, Trugo?”. Aveva praticamente urlato e Trugo si era ritratto, mentre il suo interlocutore sembrava stizzito. “è andato via da poco, su quel grande cavallo … andava come un fantino alle corse di …. “. “non mi interessa” Corin lo interruppe. “dove è andato?”. Trugo se la rise, cosa diavolo voleva quel ragazzino, non doveva essere a spalare letame o a farsi pestare da Darnoc? “a preso la strada per il gran Massiccio, perché?”. Ma Corin era già uscito correndo. La strada per il gran massiccio? Era fortunato, un cavallo doveva procedere lentamente su quei tornanti. Si precipito a casa, afferrando la sua bisaccia e sul bordo del paese prendendo “in prestito” un forcone da letame. Meglio evitare altre sventure come quella con la volpe.

Corse a lungo, per la strada dissestata. Era la meno usata, perché conduceva ad una vecchia cava di carbone in disuso. Perché un cavaliere sarebbe dovuto andare in quel posto? Non avrebbe dovuto difendere le fanciulle e curare i malati? Cosa sperava di trovare li? Possibile che Trugo fosse solo un gran ciarliero e quello fosse solo un vecchio svalvolato?

Quasi cadde dal burrone quando un fulmine fendette la parete si e no una decina di metri davanti a lui, buttandolo a terra e strinandogli se sopracciglia. Corin era veramente intontito. Con le nuvole che si addensavano, aveva corso prima per la campagna, cominciando a salire gli erti tornanti del massiccio avanzando a testa bassa e piegato in avanti, con il cuore che rischiava di uscirgli dal petto. Cercò di riprendere fiato, appoggiandosi alla parete per tirarsi su. Tremava visibilmente, e gli ci volle un bel po’ di forza per piegarsi senza vomitare e prendere il forcone. Diavolo se puzzava quell’affare. E poi gli orecchie gli fischiavano di brutto, sembrava quasi che una fiera impazzita gli ruggisse nei timpani. Si costrinse ad avanzare, poi rimase di sasso. Dietro la prima svolta, la strada era completamente franata per una mezza dozzina di metri, e la pioggia aveva cominciato a martellare il terreno, rendendolo in breve melmoso. “e ora come diavolo faccio!” urlo esasperato al vento.

Si sedette contro la parete con la testa tra le mani. Irina, la sua dolce amica aveva bisogno di lui, non poteva deluderla. Ma stanza inseguendo un cavallo, e la strada era franata. Per non parlare della pioggia, come diavolo si faceva a salire, era tutto così scivoloso. Il mondo sembrava contratto su se stesso. La pioggia rimpiccioliva i particolari e gli orecchi continuavano a rimbombare, o era il grido di un animale spaventato? Certo, come poteva essere così idiota. Il vecchio non conosceva la montagna, e la pioggia avrebbe fermato il suo cavallo molto più di lui a piedi. Doveva provare a saltare. Guardò di sotto, nel vuoto nero. Doveva provare a saltare? Era arrivato al bordo della china in ginocchio, salendo lentamente. Come poteva sperare di saltare così?

Il pensiero di Irina era riuscito a scuoterlo. Corin si mosse rapido, compiendo falcate veloci e scoordinate, contando più sulla forza di volontà che sulla tecnica. Se si fosse fermato a pensare forse non lo avrebbe mai fatto. E quando cominciò a scendere nel vuoto il suo cuore parve fermarsi. Gridò disperato affondando le mani e i piedi in avanti, affondandoli tra alcuni massi e riempiendosi di escoriazioni mentre frenava la caduta. Rimase fermo per un eternità. La pioggia era cessata, almeno quello. Facendo perno sulle unghie riuscì a salire di un braccio, con i muscoli tesi allo spasimo, usando anche i denti per cercare un appiglio, e sdraiandosi alla fine sul bordo della china, ansante. “la pioggia è cessata? Porco mondo!” gridò infuriato, mentre raccoglieva il forcone e il suo sacco, che fortunatamente sia premunito di lanciare d’all’altro lato, e la vecchia corda di suo padre gli cadde nel fango. Si sentiva stupido, si era dimenticato la corda. Rimessa la corda nel sacco rattoppato si rimise a correre, premunendosi di costeggiare la china.

Da un po’ aveva rallentato il passo, ansante, ma rifiutava di fermarsi, quando un grido ferale gli fece gelare il sangue. Un grido simile al rombo di tuono che prima gli assordava gli orecchi, e che ora che voltava tornante lo investiva con violenza. Corin rimase praticamente paralizzato quando una figura nera, con gli occhi fuori dalle orbite e la bava alla bocca arrivò verso di lui correndo a rotta di collo. Un demone, senza dubbio. Questo ebbe il tempo di pensare il ragazzo prima di essere travolto, colpito con violenza al costato e alla spalla destra e finire a terra, con la figura che girava l’angolo della china, sparendo dalla sua visuale.

Era dolorante, la spalla slogata e il sangue usciva dallo squarcio al petto. Cosa diavolo era quel coso? Un mostro di qualche genere? Corin ci mise molto tempo a riprendersi abbastanza da riprendere ad avanzare zoppicando. Era esausto, tremante di fatica, ma avanzava ancora. Irina, doveva salvare Irina. Più avanti lo accolse una luce. Sotto uno sperone poco lontano c’èra effettivamente una luce. Cosa poteva essere? Un falò? e se era un falò, di chi era? Briganti? Ma quale brigante si sarebbe appostato li? E a che scopo? Ma certo, quanti viaggiatori ci potevano essere su quella strada montana con quel tempo?

Una volta con altri ragazzi era andato fino alla miniera, ma solo una volta, di giorno e con il bel tempo estivo. Ma adesso che ore erano? Non lo sapeva, sapeva solo che i piedi si muovevano avanti traballanti. Quasi inciampò quando senti “cosa ci fa un pulcino bagnato su questo zoccolo di roccia, e Romante?”. Un'altra voce riprese la prima, ben più roboante “un ladro, sicuramente, nessun essere civile verrebbe mai in questo posto sperduto!”. Corin era nel panico. Non c’èrano svolte nella strada, eppure non aveva visto il cavaliere, e le voci erano due. Le orecchie ancora doloranti deformavano le voci, e si rese conto che anche gli occhi gli giocavano brutti scherzi. “perde sangue, guarda qui le sue braccia! E la spalla poi è un orrore!” continuò la voce. Effettivamente non riusciva a muovere la spalla destra. Il sangue? Certo stava male. Ma rimaneva li impietrito.

Il cinguettio degli uccellini era rilassante, sebbene l’umidità dell’aria gli desse dei problemi al respiro. Il soffitto della caverna era piatto, levigato dagli elementi. Un prominente naso sul gran massiccio. “come va adesso?” disse una voce sconosciuta e possente. Corin come si sentiva? Mosse la spalla. Nessun dolore. Si tocco il petto. I vestiti insanguinati facevano paura, ma la ferita sembrava sparita. Si tirò su di scatto. Chi aveva parlato? Si voltò lentamente e vide solo un cavallo, che lo osservava di lato. Girò la testa e vide i resti di un falò. Niente persone, ma dove era? Come ci era finito? Ricordava la corsa sfrenata, la tempesta. L’assalto del mostro. La volpe che … Irina, certo era stata morsa, doveva trovare il cavaliere, e quello era il suo cavallo, quindi lui era li vicino. E aveva sentito due voci, o stava avendo un incubo la notte prima? La notte prima? Ma se lui stava bene, quanto tempo era passato.

Irina ansimava sempre di più. Possibile che nessuno entrasse in quel maledetto capanno. E quanto tempo ci metteva Corin. Avrebbe voluto chiamare aiuto, ma temeva la reazione della gente. Poi temeva di parlare. Temeva di scoprirsi muta. Aveva sempre più freddo. Prima osservava il soffitto, ma ora vedeva solo il bianco. Gli occhi le facevano scherzi multicolori. Era diventata cieca? Almeno pensava in modo razionale. Avesse almeno potuto muovere le mani, per scaldarsi un po’. Ma anche alzare un mignolo le costava una fatica enorme. Tentò di incrociare le dita, come aveva fatto nel bosco e nel retro della sua casa, per accendere un fuocherello e scaldarsi, ma la stanchezza la fece vacillare nel momento fondamentale. Era distrutta. Da quanto tempo era li? Usare la magia era faticoso e per un po’ la sua mente aveva vagato nel niente. Ma ora era di nuovo lucida, e si era resa conto di non voler affatto morire. Doveva resistere. Resistere ed avere fiducia in Corin. Lui sarebbe tornato, per salvarla. Lei lo avrebbe fatto per lui. Lei lo aveva fatto. Le era venuto spontaneo mettersi in mezzo per salvare l’amico. Probabilmente lo avrebbe fatto anche senza sapere di voler morire. Senza credere di voler morire. Il petto si alzava sempre meno. E’ tanto bello riposarsi, si ritrovo a pensare Irina.

Il vento che gli scompigliava i capelli stava anche facendo starnutire copiosamente Corin. Quel cavallo era dannatamente veloce, e quel pazzo di un cavaliere cavalcava a rotta di collo per il sentiero perso in precedenza, superando vari tornanti senza mai scivolare sul terreno scivoloso. Era davvero un grande cavaliere, che salvava le damigelle e curava le malattie, ed avrebbe salvato Irina. Manak, così si chiamava il vecchio cavaliere, faceva effettivamente parte dell’ordine del Mattino Meriglio, ed era li in missione. Ma appena saputo delle condizioni della fanciulla si era lanciato sul cavallo tendendo la mano a Corin. Aveva affermato che una ragazza in pericolo ha sempre la precedenza, e poi se uno rischia tanto per lei, ne vale davvero la pena. E così erano arrivati al punto in cui la strada era franata. Sir Manak fermo il cavallo e scese, affiancato da Corin. Guardarono di sotto, e videro, assieme ad i massi franati una dozzina di metri sotto, un corpo sfracellato di un asino. “è quello il tuo mostro, ragazzo?” gli chiese il cavaliere, ma Corin non sapeva cosa rispondere. Gli era sembrato un demone? Era solo un animale spaventato, ma da dove era spuntato, rimaneva un mistero. E lo rimaneva anche il salto di Corin, lungo poco meno di una mezza dozzina di metri, in salita, su un terreno melmoso. “ti sei preso un bel rischio!, certo a quel povero animale impazzito per la tempesta è andata molto peggio. Andiamo adesso” disse Manak salendo a cavallo. Mentre superavano il baratro Corin si mise a pensare che qualche divinità doveva aver messo lo zampino in quella notte, per premiare il suo coraggio e quello dell’amica. Il salto, il fatto che il cavaliere fosse decisamente in grado di andare più veloce di quello che aveva fatto, non permettendo a Corin di raggiungerlo. Ma ne sapeva troppo poco delle divinità, anche se decise che esistevano e che si sarebbe informato.
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