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Il soldato Umano
Numero di messaggi : 208 Età : 33 Località : Pisa Data d'iscrizione : 17.01.08
| Titolo: Libri Dom Feb 17, 2008 6:25 am | |
| In vita aveva senso dell'umorismo. E neppure La Malattia, ormai trascorsi settecento anni, aveva cancellato questo tratto del suo carattere. La sua carne si era fatta cartapecora, i suoi occhi pelaghi bianchi, velati di cataratta; le sue mani rostri adunchi tremanti e, nell'insieme, la sua figura un'ombra grottesca sulla parete. Però riusciva ancora a sorridere. Conservava sul leggio nello studio l'opera poetica di Oratio da Remas; la pagina aperta sulla celebre ode Omnes Una Manet Nox. Cui aveva aggiunto, in inchiostro di umore di colubro, il refrain Non Omnes Vere in chiusura di ogni strofa. Trovava divertente rinominare le cose; attribuire ai suoi servi nomi magici di potere – le parole per animare le loro spoglie – che glossassero per l'eterna non-vita la ridicola superbia di coloro che furono. Titoli e appellativi canzonatori e volgari, però in perfetto classico accademico. Il condottiero di Luccini che per decenni fu signore dell'Alta Marca – pensa un pò: non ne è rimasto neppure il nome, per quanto in vita si sia affannato a farlo scolpire sugli architravi!... - ora era solo uno Spettro che recava le sue nere e sozze insegne. Lo chiamava Labalacerus perciò; la sciarada di bandiera strappata. Il suo epiteto altisonante e guerriero scambiato con un panno rivoltato nella polvere. Le legioni dei Principi di Miragliano, le Guardie d'Onore di stirpe aristocratica, adesso giacevano nelle fosse comuni contrassegnate dalla lapide Extintes Comphusos: corpi, ossa, cadaveri qualunque. Si sollevano dalla mota a un suo cenno e subito vi ricrollavano – marionette - a un suo capriccio. Trovava pure giusto, di lirica giustizia, che regni e città dei patetici mortali tremassero si piegassero a vincitori di rango stupido; a insegne d'idioti e a titoli buffoneschi. E – con imbarazzo – li registrassero sui loro annali. Re e Baroni e Granduchi e Potestà che si arrendevano a generali ricuciti: pupazzi di viscere e magia negromantica i cui attributi, per ciò che in vita non compirono, erano il Fallito, il Marcescente, il Caduto. I Signori dei Tumuli che in sette secoli di campagne si erano avvicendati al comando dei suoi eserciti. Ma perché pensarci ancora, come fosse fatto recente? Queste cose accadevano moltissimo tempo fa. Non tornava ad affacciarsi sul mondo diurno degli uomini da… Quando? Ormai di queste cose ne parlano solo i libri. Però la Malattia – il Dono, la Condanna: i suoi simili lo definivano con opposti sinonimi a seconda che l'eternità li avesse colti in flagrante – quella era faccenda serissima e preoccupante. La tara del suo sangue, del sangue della sue stirpe, era d'essere ormai corrotto dall'essenza del caos. Un sangue viscoso, scurissimo e maleodorante di inattesi riflessi di una verde luminescenza. Ciò gli conferiva – a tutti quelli come lui – la padronanza assoluta nell'esercizio dell'Arte Nera. Ma, d'altra parte, il suo corpo e soprattutto il suo cervello bruciavano si consumavano ogni secolo più rapidamente. Deve esserci, però, una soluzione. Il dettato del suo antico perduto mentore – un intelletto negromantico raro; duemila anni di sapienza sacrilega spezzati in un istante da un versetto del Deus Sigmar… ma questo accadeva quattrocento anni addietro; un episodio che volentieri dimenticava – era che la risposta si trovava sui Nove Libri. L’istinto, per quanto assurdo conservasse un istinto, gli suggeriva di non muoversi dalla sua torre-biblioteca e seguitare a rileggere, sperimentare, correggere, interpretare. Raramente si spostava di persona: gli errori ed i successi e l’esperienza – che, per un essere come lui, si intrecciavano a quella che è la Storia per i mortali – gli avevano insegnato che la politica si faceva con le armi e la violenza, ma per quella bastavano gli Scheletri; che i tesori si acquisivano con il furto, in silenzio, e in questo se la cavavano i Fantasmi; che i contatti si tenevano a distanza e, di preferenza, dovevano essere epistolari. E in questo si affidava ai Pipistrelli. Inoltre, in quella cerca ininterrotta, si accumulavano di anno in anno mille libri da leggere. Che senso ha più allontanarsi dal laboratorio? Non era mica come lassù a Monte Argento: il palazzo delle Belle Signore il cui bacio garantiva millenni di avvenenza. Valore così frivolo e mortale che le ragazze poi – contente loro – ci prendevano fin troppo gusto a trafficare coi vivi. Soprattutto fra le lenzuola dei vivi. Finché qualche Marchese o | |
| | | Il soldato Umano
Numero di messaggi : 208 Età : 33 Località : Pisa Data d'iscrizione : 17.01.08
| Titolo: Re: Libri Dom Feb 17, 2008 6:26 am | |
| Paladino troppo focoso, geloso, innamorato – anche questo dell’amore era un concetto divertente… - ti piantava nel cuore quello stiletto pericoloso. D'argento, per esempio. Benedetto da un Prete. Non era mica come lassù a Rocca Sangue, dove quegli esaltati discendenti di Aborash trascorrevano le notti eterne quasi a rincorrere la lancia giusta. Quella di un ometto più abile di loro. Di un ometto più fortunato di loro che – per un capriccio del fato – con un colpo poteva cancellare secoli di ascetismo e perfezione marziale. Quanti orgogliosi Cavalieri del Drago Rosso aveva veduto ingaggiar tenzoni coi monarchi e finire, il culmine dell’ignominia, ridotti in cenere accerchiati da fantaccini! Non era mica come in Sylvania la Palustre. Dove gli Herren Carstein in quelle gotiche catapecchie si divertono a mascherarsi agli Elettori Imperiali. E a forza di editti bolli parate addestramenti – non c’è un gusto perverso nell’insegnare ad un cadavere ad imbracciare e tirare con la balestra? – avevano ormai perduto i fondamenti di Scienza Nera e s’erano ridotti all’abbicì dei cimiteri. All’ascendente che a loro par nobile su lupi, nottole ed altre bestie pulciose. E a quelli che soggiornavano nei mausolei, dividendo coi Ghoul la carne fredda dei morti; facendosi offrire di tanto in tanto dagli Strigani quel poco di sangue che si stilla dai neonati... Almeno così poteva leggere sui suoi libri. Ridicolo. No. Non è questa la via. Le cose qui vanno assai diversamente. Lui era nato nella colta Tilea. Era ri-nato all’esistenza di tenebre nella Sala dei Manoscritti dell’Accademia di Braganza. Una notte che troppo si trattenne curvo sui volumi degli scaffali proibiti. Cos’era stata sino a lì la sua vita di studioso? Libri. Decine di migliaia di pagine. Cosa sarebbe stata la sua orribile eternità? Libri. Milioni di pagine. Era vero ciò che dicevano del decrepito bibliotecario… Colui che gli insegnò. Colui che lo trasformò. Colui che lo protesse fino a quando i Sacerdoti non trovarono certi testi e non spiarono le sue abitudini. All’epoca il decadimento procedeva con lentezza. In un mese gli caddero soltanto i capelli; la sua pelle si fece butterata. Però poteva essere itterizia. L’inquisitoria fu rallentata dalle pastoie burocratiche. Fece in tempo a organizzare la fuga. Prima che le orecchie si appuntissero e rattrappissero e prima che dalle gengive gli spuntassero le zanne. Era fuggito da un mondo che lo esecrava portando con sé l’unica cosa che gli era certa: gli affetti? Ne sono piene le bare. La fama, il valore? Schiacciati dalle lapidi. La bellezza, il vigore? Fanno i vermi pasciuti. Libri. I Libri non mentono. Certo all’inizio ci aveva pure provato. Approfittato del suo potere straordinario per sottomettere schiacciare le nazioni della Terra. Ed era stata un’esperienza ilare. Inebriante? Forse. Ma era giovane. Poi si convinse che la guerra, le battaglie, distraevano dallo studio. Che le vittorie, le razzie, le conquiste, anche quelle di manufatti e di arcani, erano palme non dissimili da quelle sciocche dei vivi. Quante volte aveva perso e ottenuto; quante volte distrutto ed edificato, quante volte era scomparso e tornato? Né, fra le pareti spoglie della cripta, di tutto ciò sopravviveva memoria. Dovrò buttare queste inutili cianfrusaglie e fare spazio alla raccolta dei libri. Ormai non restava che il volgere della clessidra. L’ululato del vento in innumerevoli notti che trascorreva tutte uguali nella quasi immobilità. Nello scriptorium di un edificio in rovina sepolto sotto il fango e la boscaglia a coprirlo. Il sole aveva smesso da tempo di penetrare nei lucernari colmati di terra. Non c’èra più differenza fra il giorno e la sua notte. Poteva sempre leggere. Sfogliare. Consultare. Il fruscio delle pagine cancellate e ammuffite. Verrà il caos. Verrà il torpore. Ma ci dev’essere una soluzione. Libri. Dev’essere questa la strada. | |
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