Il Vecchio Mondo -Warhammer Fantasy e 40K-
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MessaggioTitolo: A CIASCUNO IL SUO   A CIASCUNO IL SUO Icon_minitimeDom Ott 12, 2008 6:16 am

All’ora settima del sette Solkanzeit del 2527 qualcuno avrebbe ricevuta la sua Ultima Ricompensa. Consuelo Dreistille, novizia di Shallya, spiava dal lucernario della sua cella, nel monastero-lazzaretto di Talabheim, il quadrante dell’orologio della torre campanaria. Ancora un rintocco.

*

A molte miglia di distanza da quella pace claustrale, sulle rive di un anonimo torrente che segnava il confine del Principato di Miragliano, il Campione di Nurgle Raffaele Rosolia si preparava alla carica decisiva contro gli armigeri del podestà Costantino. E’ il giorno. Era giunto il momento.

*

Poiché la piccola, la mite Consuelo veniva da un villaggio nel nulla del Drakwald - sette case gettate su una strada, non un insegna, non una pietra miliare - la Madre Superiora aveva sempre tollerato che lei serbasse nel segreto della sua stanza quell’ingenuo, primitivo altarino di ossicine di pollo e campanelle di rame. La devozione rurale per i propri antenati, le innocue superstizioni del volgo. Sette candele di grasso animale accese all’ora settima d’ogni settimo giorno. Pazienza, è una sciocchezza, sopportavano le Sorelle, per fare sentire quella bimba spaventata non troppo, e per sempre, lontana da casa. Era in città da appena sette mesi, poverina. Crescendo, e progredendo nell’Ordine, Consuelo avrebbe dimenticato quell’infanzia analfabeta in campagna, le pulci, i genitori, le catapecchie, quei precetti d’ignoranza. Avrebbe smesso quelle sciocche pratiche.

*

Per elevarsi da questo mondo di miseria e di lagrime, ed assurgere al rango di Principe Demone, a Raffaele non restava che sbaragliare quegli uomini, scavalcare quel ponte fortificato e avanzare nella marca di Lomazzo. Per diffondere, di lì, la peste nera nei domini dei Miragliano. Da quel piccolo insospettabile feudo di mercati e di scambio, dove ogni giovedì si riuniva il contado per comprare e vendere pecore e vacche, olio, vino, formaggi, insaccati, per attingere alle fonti, il morbo si sarebbe diffuso per tutta la Tilea settentrionale. Portato dagli ignari valligiani nei bricchi del latte e nei prosciutti salati, nei panni delle donne al bucato e nelle trame degli involti di seta, nelle matasse di lana. Neppure la stirpe del Ratto Cornuto aveva mai ottenuto un simile risultato.
E quell’idiota del podestà Costantino, governatore del borgo, aveva schierato ad ostacolare Raffaele solo un distaccamento di colubrine e fanteria. Avrà pensato ad una setta di fanatici. Avrà pensato ad una banda di predoni. Avrà pensato ad una bega di confine ’sto cretino. Oh, certo. Come avrebbe potuto immaginare di dovere affrontare il Prediletto di Nurgle. Sicuro in ogni caso, ove i Guerrieri del Caos fossero riusciti a sfondare, che forze più ingenti li avrebbero fermati in prossimità della prima città. Ed era vero senz’altro.
Raffaele sapeva benissimo che sarebbe andata esattamente così. Sperare in un buon esito di qualcosa non è, dopotutto, da seguaci di Nurgle. Appena superato quel ponte la sua banda di scombinati seguaci, poco più di una settantina di lame, sarebbe stata nel giro di pochi giorni annichilita dalle forze locali. I Principi di Miragliano non scherzavano in guerra, ed erano abbastanza ricchi da permettersi di assoldare un reggimento di balestrieri per ogni nudo berserker norsmanno che egli portava con sé. Oh, certo. Ma per ognuno che sarebbe stramazzato e marcito in quella fertile regione benedetta dagli dei un virus pervicace e mortifero si sarebbe diffuso nella terra e nell’acqua, sarebbe entrato nelle narici dei cosiddetti gloriosi soldati e, quand’essi avrebbero celebrato la vittoria nell’intimo dell’alcova, con le loro prostitute e spose, si sarebbe insediato in grembo a queste e generato figli guasti ancora per decenni. Questo era il piano del Babbo. Così profetizzavano gli sciamani. I suoi uomini dunque erano già condannati. Tutti. Compreso lui stesso. O almeno il suo corpo corruttibile e anzi già corrotto da un pezzo. Eh eh eh! Ma questo a Raffaele non importava: faceva parte della sua Ricompensa.
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MessaggioTitolo: Re: A CIASCUNO IL SUO   A CIASCUNO IL SUO Icon_minitimeDom Ott 12, 2008 6:17 am

Il Campione radunò la sua guardia di prescelti, i Cavalieri della Larva; li allineò per l’assalto alla lancia di fronte a quel muro di picche, quadrella e bocche di artiglieria che si ergeva fra loro e lo scavalco del torrente. Quei temibili, antichi guerrieri erano da lungi già alla fine di ogni cosa. Gran parte di quegli elmi e corazze arrugginite non contenevano più che un brodo di pus, un pasticcio di carni maleolenti e frollate nel quale brillavano occhi di folli. Un che di malvagio, di macabro, e non la vigoria o la ferocia o l’onore tenevano quelle armature in sella e salde in resta quelle lance nere e infette. Destrieri così magri e gialli non potevano, per legge di natura, sopportare al galoppo il peso di quelle armi. Ma Raffaele era ormai da molti anni affrancato dalle leggi di natura.
“Fratelli! – tossì – A sette giorni da oggi io mieterò il mio raccolto…”

*

Consuelo si allacciò il grembiule e usci dalla cella per il suo turno di visite. Quella era l’ora più pietosa del giorno, in cui le monache servivano agli ammalati la misera ciotola del pasto serale. Era un servizio affidato alle più giovani, perché imparassero imboccando i pazienti l’umiltà e la pazienza e carità. Agli infermi di lebbra, che non avevano più dita, andava portato il cucchiaio alle labbra, agli imbelli e agli anziani senza denti occorreva far poltiglia del pane, e asciugare i rivoli di minestra e di bava che colavano giù dal mento al camice. Attenzione a somministrare piccoli sorsi ai paralitici, ché correvano il pericolo di strozzarsi. Pulire le sporcizie degli afflitti nelle viscere, gli incontinenti, i colitici, che subito ciò che ingerivano lo espellevano in liquami. Se qualcuno mostrava di troppo soffrire, o occorreva riempirgli di nuovo la gavetta perché la rovesciava, la sputava tutta via, qualcuna fra le novizie più abili operava un elementare incantesimo di sollievo. Che, per un giro di clessidra, addormentava la vittima in un ebete sonno docile al volere di chi l’aveva stregata. Questo era proibito dalla Regola in realtà: solo le figlie consacrate di Shallya, che ormai per la vita non potevano più smettere il velo avevano il permesso di praticare la magia curatrice. Ma, poiché altrimenti il lazzaretto avrebbe risuonato senza sosta del pianto dei moribondi, di fatto era pratica comune. Tolleranza.
Consuelo, da parte sua, non aveva voluto apprendere nessun incantesimo. Perché io sono obbediente, usava giustificarsi. Perché tu non ne sei capace, la schernivano le compagne. Convinte della scarsa intelligenza di quella ragazza venuta dai campi.
Al capezzale dello scrivano Kugelkrank, consumato dalle febbri e dallo stomaco popolato dai vermi, e che si ostinava a vomitare il brodo che inghiottiva, Sorella Elise accennò ad una runa e prese a diffondersi un profumo di mughetto. In quella Consuelo le fermò la mano, e subito torno il puzzo d’ammalato:
“Lo sai che non è giusto.”
Lo scrivano rigettò del lardo masticato sulla tonaca immacolata delle novizie che lo accudivano. E prese furiosamente ad ingiuriarle, voi puttane non vi curate di me! Con gran baccano dei pazienti vicini.
Rispose dall’altro estremo del chiostro il comando perentorio della Madre Superiora: Suora Elise e Suor Consuelo in punizione.
“Quanto, quanto sei stupida!”
*

Lo slancio dei comuni norsmanni si interruppe sul greto sassoso, presto i gorghi inghiottirono molti corpi perforati da dardi di balestra. Le esplosioni scaraventarono in aria pari trote e membra mutile di barbaro. I predoni più fortunati e più prodi, con balzi atletici, con grida agghiaccianti, raggiunsero la massa dei fanti e ingaggiarono una mischia furibonda. Chi cadde male si impalò sulle picche, e non offese il nemico che di schizzi di sangue. Altri, avuti gli armigeri a portata di accetta, poterono scavarsi una trincea truculenta fra i ranghi dei tileani serrati. Raffaele perse un terzo dei suoi paladini al primo urto con la linea di battaglia, quelli il cui destriero fu capace di saltare si trovarono arpionati alla schiena e alla mercè di mazze e di pugnali. I Cavalieri della Larva mantenutisi in sella, tuttavia, trasformarono in breve le murate del ponte nel bancone di un’orrenda macelleria. Quando il corno da una parte e il tamburo dall’altra ordinarono di ricomporre le formazioni si contarono sette contro millesettecento. Ma il Prescelto aveva fede. Era certo del favore di Nurgle. Era forte di amuleti maledetti e di un’arma affatturata.
Mietere. Mietere. Passare dall’altra Parte. Per la gloria del Babbo. Per la mia Ricompensa.

*

Ed eccola lì sola a meditare sui propri errori. In che cosa mancava alle Leggi di Shallya, perché non le riusciva di meritare dalla dea? Era entrata in monastero coi più ardenti propositi, con l’amore più sconfinato per il male e gli afflitti. Prima ancora che per la cura del male. Prima ancora che il sollevarli dall’afflizione. Come i suoi nonni le avevano insegnato. E ai suoi genitori che non sapevano che fare, di quella bambina così sensibile alle sofferenze di tutti, di quella bocca in più da sfamare, un prete errante che l’aveva ascoltata aveva detto che l’Ordine delle Sorelle, a Talabheim, nella grande città, era il posto più adatto per lei. Che era un dono del cielo, quel suo animo così gentile. E ormai da sette mesi ascoltava, e ripeteva con fervore fra sé, i principi del culto della Signora Consolatrice.
Forse le sue compagne non avevano torto. Forse davvero era stupida e sciocca. Perché più li ripeteva e si sforzava di comprenderli più si accorgeva che qualcosa le stonava. Che non era questo che le avevano insegnato i suoi nonni nel buio della selva di Drakwald. I suoi nonni che danzavano di notte con quegli uomini buffi con la testa di montone. I suoi nonni che nascondevano sotto gli ampi pastrani quelle frotte di bestiole dispettose e verdi. Quegli esserini con lei sempre affettuosi. Quelle ninnananna che le facevano far sogni strani. Le avevano detto ama la malattia. Le avevano spiegato che i malanni e le piaghe erano il monito più sincero sul senso della vita. Lo specchio più vero della nostra condizione. Che dei ce n’è tanti, raccomandati a loro, ma infine ti mentiscono e ti ingannano tutti. Solo Babbo ti sta accanto da piccina alla fine, ti elargisce i suoi doni ogni stagione che passa. Solo lui non ti illude, solo lui ti consola: non sperarci, alla fine si marcisce, e si torna alla terra. Solo Babbo ha la mano sulla tua fronte sempre. Servi i sovrani, supplica i numi. Ma ricordati di lui, soprattutto di lui. Abbiti sempre un pensiero per lui. Innalza un altare, con quel poco che hai, ovunque tu ti trovi. E il Babbo ti sarà grato.
Quell’altare a Babbo Nurgle di campanelle e ossicini nell’intimo della cella di una novizia di Shallya. Ma Shallya dov’è? Lontana e non ti ascolta. E il Babbo dov’è? Qui, coi tuoi affetti.
I suoi nonni non le avevano mai detto bugie.
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MessaggioTitolo: Re: A CIASCUNO IL SUO   A CIASCUNO IL SUO Icon_minitimeDom Ott 12, 2008 6:17 am

*

La linea cedette. I fanti tileani, in risposta ad uno squillo di buccina, abbandonarono le posizioni sul ponte e arretrarono sulle opposte rive. Gli artiglieri disertarono le macchine, e i tiratori, la balestra in spalla, corsero a rifugiarsi nei quadrati di picchieri. Il muro d’acciaio che si era opposto ai Guerrieri del Caos si disfaceva un uomo dopo l’altro. I difensori, benché non sbandati e forti ancora nel numero, ne avevano avuto abbastanza. Non accennavano a rifarsi sotto. E’ fatta! Si ritirano! Con ordine ma si ritirano!
Oppure no.
Fra le colonne di soldati in ripiegamento, protetto da una falange di truppe fresche, si fece largo un vigoroso vegliardo di vesti nere di sfarzo straordinario. Portava al collo un vistoso medaglione sbalzato coi geroglifici dello zolfo e del mercurio, geroglifici ricamati su paramenti neri e un bastone d’oro chiaro inanellato d’argento. Sormontava la staffa un’effige di pellicano, che accudiva fra le ali il sole e la luna e un giovane re e una giovane regina. La fronte protetta da una preziosa calotta, la buffa acconciatura, la spigolosa fisionomia di un nativo del nord. Dell’Impero. E’ un mago costui. Un alchimista del Collegio di Chamon.
Il vecchio, crescendo in potere, vieppiù ammantato di luce dorata, avanzò ad affrontare Raffaele e la sua guardia. I Cavalieri della Larva superstiti, disingaggiandosi dai fantaccini che premevano d’attorno e li tenevano a bada a misura di picca, avvertiti della nuova minaccia corsero a raccogliersi attorno al Prescelto. Gettarono le lance, sfoderarono le brune lame, ansiosi ciascuno, in gara di prodezza, di spiccare per primo per il diletto di Raffaele il capo agghindato di quell’ometto supponente.
Neppure fecero in tempo a spronare. L’alchimista protese la sua staffa, pronunciò una parola con voce metallica. Vitriol. E una pioggia di dardi scintillanti, di purissimo liquidissimo oro, infuriò dallo scettro sui Guerrieri del Caos. Raffaele le oppose lo scudo, ma si accorse che quelle stille dorate gli attraversano usbergo e celata. E piuttosto che trafiggerlo lo cocevano dall’interno. Sentì le sue viscere sozze purificate dal fuoco dell’alchimia – purificate! Purificate no! - sentì la sua pelle, le interiora, le ossa letteralmente bollire dal di dentro. I suoi massicci e corazzati Cavalieri della Larva, i loro destrieri, evaporarono nelle corrotte armature che rovinarono a terra fra volute di fumo. Vuote. Disinfettate. Disinfettate no! Lui stesso, disarcionato dalla sua empia cavalcatura, che un attimo dopo era solo una ribollente e viscosa pozzanghera, giaceva ormai sull’erba già dissolto a metà.
“Babbo, la mia Ricompensa! – gemeva il Prescelto torcendosi nell’arsura ridotto a poco più che un rivoltante tizzone; ghermendo inutilmente il cielo, la sua spada stregata e i nemici con artigli bruciati in informi moncherini - Babbo, non puoi non esaudirmi! Babbo, non puoi abbandonarmi! Ti ho servito con le armi, ti ho servito con le stragi, ovunque ho impresso il Tuo marchio, ho fatto prevalere la Tua forza. Ho schiacciato la vita. Ho compiuto la Tua volontà. Per Te!...”
E avvertì nel profondo del suo cuore decomposto, ed echeggiare nel suo cervello scavato dai parassiti, rispondergli una voce gorgogliante e beffarda: Raffaele, figliolo… ti dirò: non hai mai capito un cazzo di me. Eh eh eh!...
Accalcati alle spalle dell’Alchimista gli stupefatti, timorosi armigeri tileani assistettero all’agonia da mollusco di colui che era stato un Campione dei Poteri Perniciosi. I restanti disperati Predoni del Caos, con tutte le loro grida guerresche e quello spaventevole mulinare di asce, non sopravvissero un minuto di più alle picche e le balestre e le bordate e le torce.
“Il male è esorcizzato, la terra è sana Magister?”
“Sehr Gut, Podestà. Mi dovete settecento corone.”

*

Ora ho capito. E’ questa la verità. E perché la verità ti spaventa?
Consuelo allineò le candele di grasso. Ed ecco, acceso l’ultimo dei sette piccoli ceri, che la ragazza fu attraversata da un malsano calore e sopraffatta all’improvviso dalla nausea. Prese a tremare e sudare copiosamente, le girava la testa, non riuscì a mantenersi in equilibrio e cadde supina riversa sul pavimento. Si sentiva leggera. Leggera sempre più. La vertigine, per certo la vertigine, le faceva sembrare le poche cose attorno – lo sgabello, la branda, la ciotola, la brocca, il breviario e il bordone devozionale – assurdamente più grandi. Sempre più grandi. Addirittura enormi. Nello spazio di un battito cardiaco, e senza dolore, il suo corpo fu riplasmato in un’orrida mutazione. Le orbite oculari le si gonfiarono ed esplosero, rivelando all’interno globi verdi sfaccettati. Le belle labbra le si sciolsero in una rosea proboscide, le orecchie le si allungarono in irrequiete appendici. La pelle le si irrigidì, le si coprì di irsuti peli e, fra le costole, le spuntarono due lunghe zampe. Si ritrovò su sei arti a trascinarsi carponi, L’addome le si allungò in una sacca molliccia e dalle scapole si spiegarono, come petali dal bocciolo, ali elittiche e ronzanti e trasparenti. Diminuì. Rimpicciolì. Finì per pesare appena un grammo e misurare poco più di un pollice.
E fu illuminata.
Consapevole di infinite consapevolezze. Di essere diventata immortale. Di essere eterna. Consuelo Dreistille, fu figlia di nessuno, fu monaca di Shallya, ora Principessa Demone di Nurgle in forma di tafano, volò un istante dopo, libera e gloriosa, attraverso l’inferriata verso eoni di pietosa malattia. Grazie Babbo. Finalmente. Te lo sei meritato mia dolcissima bambina.

*

L’orologio della torre batté l’ora settima. Il crepuscolo si spense, in Tilea, sulla sponda fangosa di un placido torrente. A Talabehim si tacque in un assenza misteriosa, nella polvere di una camera vuota.
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