Racconto postato da Soldato.
“Siniscalco!”
Udì quelle voci che lo chiamavano di lontano e si levò con un moto di fastidio. Maximilian Von Weiss, Siniscalco dei
Cavalieri del Lupo Bianco, detestava che alcuno lo disturbasse mentre era là, al limitare del bosco, raccolto in
preghiera al cospetto di Ulric. Pure, a giudicare dagli squilli di tromba, doveva trattarsi di qualcosa di importante. Di
buon passo ritornò all'accampamento, attraversando accigliato i quartieri militari.
“Eccovi Siniscalco! Alla buon'ora!...” - Chi lo cercava era un Messo Palatino. Un giovane aristocratico, raffinato ed
arrogante, venuto fin là sul suo cavallo grigio probabilmente a giocare alla guerra. Nella sua profumata bianco-azzurra
livrea, col suo cappello dalle piume ocra, con la sottile e decorata striscia al fianco, così diversa dalle grandi spade dei
Middenheimer, il Messo destava una curiosa impressione. I duri, irsuti soldati della Città del Lupo guardavano quel
damerino impomatato con sguardi di scherno e tuttavia deferenti: il giovane apparteneva pur sempre alla Corte del
Conte Todbringer.
“Reco un dispaccio dal Quartier Generale, Herr Siniscalco. Ordini per Voi e per la Vostra Brigata.”
“Finalmente! - tuonò Maximilian – Il Branco di Brugghar, Malabestia del Chaos, attende ormai da giorni oltre il
limite della foresta! Gor e Nogor si raccolgono numerosi: era ora che ci ordinassero di attaccare!”
I Templari e la Stirpe del Lupo, accorrendo da ogni angolo dell'accampamento, levarono i martelli con ululati di
entusiasmo all'idea della battaglia imminente. Fra le tende e le rastrelliere di armi s'accese spontanea una danza
guerresca. Il Messo, evidentemente a disagio, si avvicinò a Maximilian per mostrare i suoi incartamenti:
“Piuttosto – spiegò – la consegna è di ripiegare.”
“Ripiegare?!” - Il Siniscalco diede un cenno rabbioso. I suoi soldati, immediatamente, cessarono le grida di euforia e
tornarono inquadrati sull'attenti. Un sussurro incredulo, e in qualche modo affranto, percorreva i ranghi degli
Irregolari di Fanteria.
“L'Alto Comando ha così stabilito, Herr Von Weiss. Non conosciamo l'esatta entità dell'Orda di Bestie. La migliore
strategia, a questo punto, è dunque quella di...”
“L'Alto Comando! La strategia! Io so solo che quelle cose immonde sono là a portata del mio martello!”
Il Messo, istintivamente, si ritrasse intimorito dalla furia del poderoso guerriero. Quindi, recuperata la propria flemma
aristocratica, ammonì Maximilian con freddo distacco:
“E' un ordine diretto di Sua Altezza il Conte Boris. Devo forse ricordarVi, Siniscalco, qual è il posto che Vi
compete?”
Weiss durò fatica a ricomporsi. Avrebbe voluto afferrare il messo per la gorgiera e schiaffeggiarlo come si fa con un
moccioso. Non troppo: giusto per fargli capire l'antifona... Quindi allontanarlo dal campo, fra le risa degli uomini tutti,
e in seguito partire a caccia nel bosco e ritornare al Comando, all'alba del mattino seguente, con una cesta colma di
crani di Uomini Bestia. Come una volta, da giovane e semplice Templare, in effetti gli era capitato di fare. Ma a
quarant'anni, e con delle responsabilità di Comandante sulle spalle, e in un Impero viepiù costretto dalle maglie della
burocrazia, certe follie non era più il caso di tentarle:
“Naturalmente no – concesse - Riferite al Quartier Generale che l'ordine è ricevuto e... compreso. Disporrò subito per
la ritirata. Vi ringrazio.”
Al tramonto i carriaggi erano pronti. I soldati delle Guarnigioni Regolari, Archibugieri e Alabardieri e Picchieri,
attendevano in ordinata colonna di mettersi in marcia lungo la via del ritorno. Gli Artiglieri, agganciati cannoni e
mortai, ciondolavano in sella ai cavalli da tiro esausti per le fatiche della giornata; i Distaccamenti si accodavano ai
Reggimenti. Maximilian, in testa alla Brigata, notò che i Templari dell'Ordine del Lupo Bianco, i Guerrieri di Ulrich,
La Guardia Teutogena e i Combattenti Irregolari non mostravano affatto di essere pronti a partire. Anzi indugiavano
in disparte, lontano. Per di più, la tenda azzurra che serviva da cappella, sotto la quale dormivano ed officiavano i loro
riti i Sacerdoti di Ulric che accompagnavano l'armata, era ancora in piedi presso il limite della foresta. Che accidenti?!
Ciò avrebbe rallentato la ritirata di... Non importa di quanto tempo! Ma al Comando, poco ma sicuro, questo genere di
inadempienze agli ordini si pagavano con la corte marziale. Il Siniscalco avvicinò un Sergente della Fanteria: gli
affidò momentaneamente la responsabilità della colonna e diede l'ordine di iniziare la marcia. Quindi spronò il
destriero verso il bosco e verso gli Ulricani che si raccoglievano alla tenda. Erano tutti disposti in cerchio là attorno.
Prese a imprecare e a tuonare ordini e minacce ancor prima di giungervi e di smontare di sella.
“Che cosa succede qui, dannazione?! Sbrigarsi, l'armata è già in marcia!”
I rudi guerrieri settentrionali restavano, tuttavia, in completo silenzio. Al passaggio del loro irato comandante
abbassavano lo sguardo e si scansavano dalla tenda.
“Qualcuno vuole darmi una spiegazione?! Dov'è il vostro Primo Cavaliere?! Dov'è il Primo Lupo?! A rapporto!”
Fra i ranghi delle Guardie Teutogene, che seguitavano ostinatamente a non rispondergli, si fecero largo con forza e
solennità i Sacerdoti del Signore dell'Inverno. Brandivano le enormi asce a due mani e, diversamente dalle usuali
circostanze, vestivano la cotta sulla tunica bianca e mostravano sul volto nere pitture da combattimento. Cingevano in
vita sinistri cordoni ornati di zanne, ossa, amuleti; cartigli consacrati e monili che lo stesso Maximilan, pur devoto,
rare volte aveva veduti ostentare. Il Siniscalco, in rispetto alla venerabile figura dei Sacerdoti, si impose di placare il
dispetto che lo dominava dimentico per un istante del proprio ruolo di Comandante:
“Padri, per quale ragione...”
“Non bestemmiare Figlio, e restati piuttosto in silenzio. Non rammenti tu che notte sia questa?”
“Che notte?...”
Maximilian levò lo sguardo al cielo e si accorse che le due lune brillavano entrambe piene. Fece mente locale: calcolò
il giorno, il mese, l'anno... Si ricordò all'improvviso con vergogna che quella notte era vigilia di Wulfesten. Il giorno
più sacro per i fedeli di Ulric.
“Perdonatemi. E'... il tempo – riprese con difficoltà – in cui coloro... che sono Giusti agli occhi di Ulric gli rendono
omaggio con Forza e Battaglia... Tuttavia...”
“Tuttavia, figlio, non è parola che si addica all'obbediente. Ulric colpisce. Egli ci insegna che l'esitazione non è degna
dell'uomo vigoroso.”
“I miei soldati hanno bisogno della mia guida. La mia Brigata è in ritirata, Padri. E' mio dovere di Primo Ufficiale
condurla. E' mio dovere richiamare anche voi all'ordine che il Comando ci impone.”
“La tua Brigata ha validi Sottufficiali, che sanno ciò che devono fare. I tuoi sottoposti sono già in marcia in colonna. I
tuoi guerrieri invece, i tuoi fratelli, il tuo branco, ora sono qui consapevoli di ciò che è pio.”
“Non posso Padri! Il Feldmaresciallo...”
“I tuoi superiori possiedono forse il tuo grado, Siniscalco. Il grado e nient'altro. Ulric, diletto Figlio Maximilian, è il
solo signore della tua forza e del tuo onore. Questa notte è la vigilia della Sua Festa. E il fato ci offre, in profondità
nella foresta, generosa schiera di nemici da schiacciare con l'ascia e col martello. Vorrai mancare di celebrare il tuo
dio?”
Maximilian volse lo sguardo tutt'attorno. I Guerrieri silenziosi che
affollavano la tenda attendevano ora, da lui, non un ordine, non un
richiamo alla disciplina: piuttosto una professione di fede. Ed in
quegli occhi non c'era dovuto rispetto o timore: c'era sangue,
coraggio, fratellanza.
“Non mancherò di celebrare il mio dio.”
Nel profondo della Selva del Drakwald uomini possenti
avanzavano ululando. I lupi stessi al loro passaggio fuggivano,
perché avvertivano in quei richiami di battaglia qualcosa di più
ferino financo del loro cuore. Brugghar, Malabestia del Chaos, alla
testa della sua Orda di Gor si arrestò per un istante, ragliando al
branco di non procedere oltre. Confuso. Udì in lontananza fra le
fronde oscure grandi martelli percuotere grandi scudi. Comprese
che si facevano più vicini ma non riuscì a riconoscere il loro
odore: non era la traccia delicata della solita bianca carne degli
Umani. Non avvertiva l'odore pungente delle polveri, di quelle
misture nere e solforose che alimentavano le loro armi ridicole.
Piuttosto era il sentore – mescolato – del ferro, della furia e della
morte. E forse, per la prima volta nell'intero corso della sua empia
esistenza, il mostro dalle corna di capra conobbe un sentimento
che assomigliava alla paura.