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 Breve Antologia del Capitano Lucius

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MessaggioTitolo: Breve Antologia del Capitano Lucius   Breve Antologia del Capitano Lucius Icon_minitimeGio Set 02, 2010 3:44 pm

Con questo racconto ho vinto un concorso su un altro forum, spero che piaccia anche qui. Smile


Breve Antologia del Capitano Lucius


Prologo
"Vivi e sepolti"

-Ritirata!-
Il grido si levò al di sopra del frastuono delle armi. Riecheggiò a lungo tra le fiamme di Erchan, sconvolgendone i difensori distrutti. Guardando nei loro occhi Lucius non vide altro che morte e disperazione.
Era questo quello per cui aveva combattuto per tutta la sua vita?
Accantonò con rabbia quei futili pensieri e riprese a dirigere la ritirata degli ultimi difensori della città.
-Ritirata, tutti dentro al tempio!- gridò, ben conscio dell’inutilità di quello che stava ordinando.
Nell’ultimo mese la situazione era peggiorata drasticamente ed i Tiranidi avevano distrutto una città dopo l’altra.
Lucius ed i suoi Space Marine non avevano potuto fare nulla, se non accompagnare gli abitanti del pianeta nell’oblio.
Della sua compagnia rimaneva solo una manciata di uomini ormai e il capitano sapeva che nessuno di loro sarebbe sopravvissuto a lungo. Gli alieni avevano sfondato la cerchia esterna delle mura, così non rimaneva altro da fare che ritirarsi nelle grotte del Tempio dell’Imperatore. Non vi erano uscite dal tempio, se non quella che avrebbero usato come ingresso. Erano in trappola. I marine avevano detto ai civili ed alle guardie che i dieci metri di adamantio della porta avrebbero resistito abbastanza a lungo da dare ai rinforzi il tempo di arrivare in loro soccorso. Lucius pregò che l’Imperatore potesse perdonarli per quella pietosa bugia. I confratelli del loro capitolo, Le Spade dell’Onore, non sarebbero giunti prima di due settimane e non c’erano altre truppe imperiali in grado di arrivare in loro soccorso. Le porte non avrebbero retto più di un’ora agli spietati colpi dei Carnefici. Le loro mandibole combinate con i terribili acidi che producevano non lasciavano dubbi in proposito.
Vedendo una giovane guardia a terra, Lucius la aiutò ad alzarsi, spingendola verso l’ingresso della caverna tempio.
Guardandosi attorno non vide più nessuno a parte i suoi confratelli, in attesa solo di un suo ordine per sigillare le porte.
-La procedura di chiusura è pronta per essere eseguita, Capitano.-
Il sergente Sirron lo guardava impassibile, pronto a fare il suo dovere, come sempre.
-Procedete. Non possiamo più attendere. I tiranidi non ci concedono un simile lusso.-
Lucius guardò il cielo, chiedendosi se l’avrebbe più rivisto. Improvvisamente gli venne in mente che le rosse nuvole su sfondo giallo non ricordavano affatto la volta celeste di Cheron, il suo pianeta natale.
Mentre lentamente scendeva la rampa verso le tenebre, Lucius fu assalito dai ricordi.

Capitolo I
“Morto e Rinato”

"Il cielo era azzurro quel giorno. In quella stagione gli abitanti di Cheron non erano abituati ad una simile fortuna.
L’inverno ormai iniziava ad avvolgere il pianeta nel suo gelido abbraccio ed il suolo del villaggio di Earthville aveva già cominciato ad indurirsi per il freddo. Tuttavia il raccolto estivo era stato abbondante e gli abitanti guardavano alla stagione in arrivo con un cauto ottimismo. Lucius accarezzò l’erba fresca, sapendo che presto sarebbe scomparsa, coperta dalla neve. Difficilmente nei sei mesi successivi avrebbe potuto godere della morbidezza dell’erba e di un colore del cielo azzurro come quella mattina.
Lucius abbassò lo sguardo e si strinse più forte a Medea. Era bello rimanere sdraiato sull’erba accanto a lei. Con semplicità il ragazzo capì di essere felice.
-Vorrei che questa mattina durasse per sempre- le sussurrò.
Medea sollevò la testa e sorrise. Poi schiuse le labbra ed iniziò ad abbassarsi su di lui. Lucius si abbandonò al profumo dei suoi capelli e si perse nella bellezza dei suoi occhi verdi. Le morbide labbra di Medea continuavano ad aprirsi sempre di più…ancora…troppo.
Gli occhi della ragazza si spalancarono pieni di terrore mentre Medea guardava oltre la spalla di Lucius con le labbra piegate in un grido. Dalla sua bocca però non ebbe il tempo di uscire nessun suono. Una raffica di schegge la ferì sul collo, recidendo le arterie. Una linea rossa le attraversava la gola, mentre sempre più rubini scarlatti si formavano ai lati del collo. Il fiato usciva a rantoli dalle labbra, mentre gli occhi diventavano vitrei. Il veleno eldar sparato dall’arma spegneva ogni speranza.
All’improvviso tutto apparve nitido e definito agli occhi del ragazzo. Riusciva a distinguere ogni movimento del corpo di Medea mentre si accasciava tra le sue braccia; fra le sue dita percepiva i suoi capelli di seta con una profondità quasi dolorosa. Strinse a sé il corpo della ragazza, nella vana speranza che quel gesto la salvasse dalla morte.
Ma era tutto inutile. A poco a poco lo spirito di Medea abbandonava le sue membra. Il ragazzo la stringeva ancora quando, infine, la sua anima prese il volo.
In quell' istante tutto perse importanza. Non gli importava più nulla del villaggio né della sua famiglia. Quando una calda lacrima gli cadde dalla guancia, si rese conto che non avrebbe più lottato nemmeno per la propria vita. Voleva solo rimanere lì, abbracciato al corpo ormai esanime.
Un rombo brutale lo scosse da quello stato di trance. Una moto a reazione eldar si avvicinava rapidamente. Aveva sentito sin da giovane le terribili storie sulle crudeli scorrerie di quegli esseri perversi. Belli come solo gli immortali sanno essere, ma malvagi oltre l’immaginazione umana. Le loro vite erano spinte solo dal desiderio di uccidere e di infliggere sofferenza. Per quegli esseri il dolore stesso era una forma d’arte. Ed ora Lucius si trovava davanti un centinaio di quegli assassini. Il giovane sapeva perché erano giunti: depredare e distruggere. Ai loro occhi gli umani non erano nulla più che rozze bestie cui prendere con la forza il necessario alle loro vite depravate. Eldar Oscuri, li chiamavano. Mai un nome fu più appropriato.
Si avvicinavano sulle loro moto a reazione, aspettando solo il momento giusto per attaccare la preda inconsapevole con rapidità e terribile eleganza. Lucius capì con un brivido che tutta la sua gente era già condannata.
Colto dalla disperazione, il ragazzo osservò i veicoli eldar sparire oltre la collina, verso il suo villaggio. Per qualche attimo la formazione di veicoli alieni lo sorvolò e la paura gli impedì di fare qualsiasi cosa, finché una fredda determinazione prese il sopravvento: se il destino della sua gente era quello di morire quella mattina, Lucius sarebbe morto combattendo al loro fianco. Accarezzò un’ultima volta il volto di Medea, poi depose il suo corpo sull’erba fresca dietro ad un cespuglio. Nessun alieno lo avrebbe mai profanato con la sua crudeltà. Dopo un silenzioso addio, Lucius iniziò a correre su per la collina, andando incontro al proprio destino.
Mentre correva l’aria gelida gli trapassava i polmoni e gli congelava le lacrime sul viso, ma il dolore fisico era nulla al confronto di quello che gli provocavano le urla di paura e sofferenza che salivano dal villaggio. Senza fiato Lucius arrivò sulla cima della collina e lo spettacolo che gli si parò davanti parve uscire dai suoi incubi peggiori.
Le urla disperate di donne e bambini coprivano il rumore dei veicoli e delle armi aliene, mentre gli eldar infierivano senza alcuna pietà sui civili che inutilmente cercavano il riparo delle proprie case. Le fiamme avvolgevano gli edifici che erano già stati saccheggiati, lanciando bagliori rossastri sui corpi dilaniati dei morti e sulle eleganti armature degli alieni.
Lucius assisteva impotente alla totale distruzione della propria vita.
Ma improvvisamente la sua attenzione fu attirata da alcune figure che si stagliavano di fronte al tempio imperiale nella piazza.
Qualcuno degli abitanti aveva avuto la prontezza d’animo di imbracciare i fucili laser e di proteggere gli altri mentre entravano nell’edificio sacro. A Lucius però apparve immediatamente l’inutilità del gesto. Gli eldar vivevano per uccidere, mentre molti degli abitanti di Earthville non avevano mai imbracciato il fucile da quando l’Amministratum aveva consegnato loro quelle armi. Tuttavia resistevano, opponendosi con il coraggio dettato dalla disperazione agli assalti eldar. Un uomo stava di fronte agli altri, sparando e gridando incitamenti ai compagni. Il cuore balzò nel petto di Lucius accorgendosi che il combattente era suo padre. Sparava e dirigeva gli altri con una determinazione che fino ad allora Lucius non aveva mai visto nel vecchio uomo.
All’improvviso tutto finì. Un eldar dall’armatura rossa, probabilmente il capo dei predoni, scese dal proprio veicolo e brandendo un’arma dalla foggia esotica si avvicinò a suo padre. L’uomo si accorse del pericolo e sparò contro il nemico. L’alieno rise freddamente e con un movimento tanto elegante e veloce da sembrare impossibile, schivò la raffica.
Senza perdere altro tempo l’eldar roteò la spada in un arco mortale, decapitando il padre di Lucius. A quella vista i difensori abbandonarono ogni speranza e la futile resistenza iniziò rapidamente a spegnersi. Lo stesso Lucius cadde in ginocchio. Con suo padre morivano definitivamente tutte le sue speranze. Lui era l’uomo che l’aveva cresciuto dalla morte di sua madre e senza lui e Medea l’esistenza non aveva più nessun significato. Allora la paura e la disperazione furono sostituite da una cieca rabbia, volta solo a portare con sé all’inferno almeno uno dei quei bastardi che avevano cancellato la sua vita. Con un grido si gettò giù per la collina. Nessuno degli alieni lo notò, erano troppo impegnati nelle loro razzie per dare peso ad un ragazzino che correva. Lucius giunse al corpo del padre. Gli occhi si riempirono di lacrime vedendo le condizioni del suo corpo spezzato. Lucius allora afferrò il fucile, mosso da una furia sanguinaria, e scaricò l'intero caricatore su un gruppo di alieni che stava dando fuoco al tempio, con l’intenzione di bruciare anche tutti i civili al suo interno. Il ragazzo gioì vedendo uno degli aggressori cadere a terra. Vide anche l’indicatore delle munizioni sul rosso, ma dopo un attimo di panico iniziò a correre verso l'edificio che un tempo era stato la sua casa. Ricordava dove suo padre teneva i caricatori e sperava che nessuno li avesse spostati. In pochi secondi giunse sulla soglia e voltandosi chiuse la porta alle sue spalle.
Quando però si girò verso l'interno della casa inorridì: uno degli incursori era entrato nella cucina dell'edificio. In una mano stringeva un pugnale insanguinato ed ai suoi piedi giaceva immobile il corpo di una donna. Lucius capì con uno sguardo che era morta. Alzando gli occhi incontrò lo sguardo dell'eldar, leggendovi una sprezzante sfida.
Con un grido Lucius scagliò in faccia al nemico l'arma scarica, per poi avventarsi su di lui con un balzo feroce. Si accorse subito dell'errore commesso: l'alieno era un guerriero esperto e con un gesto deflesse l'arma scagliata verso di lui, mentre con altrettanta facilità afferrò il collo di Lucius, sbattendolo contro il piano della cucina. La mano del guerriero si strinse sulla gola del ragazzo con una forza insospettabile per un essere tanto esile, nel chiaro tentativo di soffocarlo. L'eldar non voleva concedere una rapida morte con il pugnale a chi aveva osato sfidarlo.
Lucius annaspò, tentando inutilmente di liberarsi. Improvvisamente la sua mano incontrò il manico di un grosso coltellaccio per scuoiare poggiato sul piano della cucina. Probabilmente qualcuno stava preparando un animale per il pranzo al momento dell'attacco. Con un urlo lo afferrò, colpendo alla cieca verso il petto dell'alieno. La lama si conficcò fino al manico nella carne dell'eldar, che lo guardò con uno sguardo stupito. Lucius si accorse troppo tardi che la mano del nemico con il pugnale calava verso di lui in un fendente crudele, portato come ultimo atto di vendetta. Lucius sentì la lama conficcarsi nel suo stomaco con un dolore lancinante. Rantolando cadde a terra sul corpo del nemico, lottando per non perdere i sensi . Dall'esterno giungevano nuovi rumori. Adesso erano gli eldar a gridare. Il rumore di armi requiem copriva quello delle moto a reazione che si allontanavano. Una voce stentorea urlava ordini. La parte ancora cosciente del cervello di Lucius notò con sorpresa che si trattava di Gotico Imperiale.
Ma tutto questo gli appariva ormai distante, come se a separarlo da lui non ci fosse stata solo una porta di legno, ma uno spazio infinito. Qualcuno iniziò a battere contro la porta e a Lucius parve che il rumore gli riempisse tutta la testa mentre già perdeva i sensi...
Tum...
Tum...
Tum..."


Tum!
Il capitano Lucius si svegliò di soprassalto. Non ricordava esattamente quando sogno e ricordo avessero iniziato a fondersi. Poco alla volta i residui del sonno si dissolsero. Rimaneva solo il continuo battere angoscioso. In un primo momento Lucius credette che fossero i suoi due cuori impazziti, ma poi si rese conto che erano solo i tentativi insistenti dei carnefici per abbattere la porta del tempio. Sfortunatamente ci stavano riuscendo anche troppo bene. Gli esploratori avevano riferito che non c'era alcuna via d'uscita dalla struttura, così non rimaneva altro da fare che attendere che le difese cedessero. Non sarebbe stata un'attesa lunga. Entro un'ora o poco più le porte avrebbero ceduto all'invasione tiranide e per loro sarebbe stata la fine.
Ripensando ai suoi ricordi Lucius si adombrò.
Era molto tempo che non sognava più della distruzione del proprio insediamento. Con il passare degli anni e dei secoli il dolore si era lentamente trasformato in indifferenza e gli sembrava strano che proprio ora che si era giunti alla fine ritornassero tali ricordi. I confratelli delle Spade d'Onore erano giunti appena in tempo per strapparlo alla morte e per consegnargli la possibilità di una nuova vita fra le stelle come prescelto dell'Imperatore. I primi giorni Lucius era stato grato all'Imperatore, considerando la propria iniziazione come un regalo immenso. Col tempo però questa convinzione si era molto affievolita. Il prezzo pagato da lui e da altri per diventare uno space marine era troppo alto per poter parlare di un regalo. Mentre un accenno di dubbio si insinuava nella sua mente, Lucius fu nuovamente sommerso dai ricordi...

Capitolo II
"Sacrificio senza prezzo"

"-Muovetevi maledizione! L'Imperatore dura in eterno, non la mia pazienza! Completate subito la scalata o verrò io a spingervi giù personalmente!-
Lucius sentì la voce del sergente Huron venire da molto più in alto. Mancava ancora parecchio alla cima e lui non voleva essere l'ultimo ad arrivare per non subirsi una delle terribili ramanzine del sergente. Nelle ultime settimane aveva già assistito molte volte alle punizioni del sergente per coloro che non riteneva abbastanza rapidi, forti o decisi.
Molti dei novizi sottoposti a tali sfoghi d'ira spesso rimanevano alcuni giorni all'ospedale del campo.
Scuotendosi da quegli inutili pensieri, Lucius pensò a come salvare la pelle in quella situazione. Non era la prima volta che compiva delle scalate durante l'addestramento, ma non si era mai trovato a simili altezze, né si era mai trovato di fronte un vento tanto forte. Con fatica portò avanti un piede, trovando un appiglio a cui aggrapparsi. Incoraggiato, portò avanti anche il braccio destro e percepì una sporgenza sotto le dita. Durante le prime scalate le mani gli avevano sanguinato copiosamente, ma dopo un po' si erano formati dei calli che le proteggevano dalle pietre taglienti. Lucius continuò la scalata.
Mancavano ormai pochi metri quando la pioggia iniziò a cadere scrosciante.
Lucius imprecò, maledicendo la propria sfortuna. Le rocce ora erano scivolose per via dell'acqua ed i continui scrosci minacciavano ogni volta di farlo cadere dal dirupo. Facendosi coraggio, Lucius proseguì. Ormai vedeva la cima a portata della sua mano. Rise contro la pioggia, felice di avercela fatta e conscio di quanto vicino fosse andato ad incontrare gli abitanti del suo villaggio nell'aldilà. La tempesta gli spense la risata.
Un colpo di vento e di pioggia lo colpì all'improvviso in volto, allontanando il suo corpo dalle rocce. Mentre la sua presa si allentava, il vento si gonfiava fra lui e la parete, Lucius sentì il vuoto sotto di sé, conscio dell'altezza vertiginosa che lo separava dal suolo. Sentendosi cadere lanciò un urlo, stendendo la mano verso l'alto nel vano tentativo di aggrapparsi a qualcosa che lo tenesse in vita. Ma sotto le sue dita scorrevano solo vento e pioggia.
Poi, all'improvviso, una salda presa fermò la sua caduta.
Lucius guardò verso l'alto con un misto di sorpresa e di gratitudine dipinto negli occhi. Dal bordo del crinale apparve il volto di Tereon contratto nello sforzo di tenerlo sollevato. Tereon era una recluta della stessa età di Lucius. I due erano diventati amici sin dalle prime fasi dell'addestramento: combattevano, si allenavano e mangiavano insieme. In quella occasione Tereon si doveva essere accorto dei problemi dell'amico e doveva essere tornato indietro per aiutarlo, giungendo proprio nel momento di massima difficoltà di Lucius. Grazie all'aiuto dell'amico,il ragazzo riuscì a tirarsi ansante oltre la cima. Ancora senza fiato, rivolse un muto sguardo di ringraziamento a Tereon. Questi sorrise.
-Dovresti fare più attenzione quando giochi sotto la pioggia, potresti farti male.-
I due giovani sfogarono in una risata nervosa la tensione dell'impresa. Si stavano già rialzando quando un fulmine colpì la base della parete. L'intera montagna tremò. Con un colpo improvviso la zolla rocciosa dove si trovava Tereon si staccò dalla parete. Con uno sguardo colmo di terrore il giovane cominciò a precipitare urlando. In breve il vento ed i tuoni coprirono le sue grida. Lucius osservò impotente mentre l'amico precipitava. Gridò il suo nome con disperazione. Quando infine si schiantò al duro suolo, a Lucius parve di sentire lo schiocco della sua schiena che si spezzava, ma forse era solo la sua immaginazione. A quella distanza era impossibile dirlo.
Mentre sul suo viso lacrime e pioggia si mischiavano, un crudo grido di rabbia risuonò nella tempesta."



Aprendo gli occhi Lucius si stupì nuovamente dei ricordi che continuavano ad assalirlo. Aveva visto talmente tanti morti negli ultimi secoli che una singola anima come quella di Tereon perdeva completamente importanza, come una singola goccia nel mare. Eppure in quel momento, ad un passo dall'abisso, Lucius ricordava proprio quell'episodio. All'improvviso capì che Tereon era stato l'ultimo vero amico che avesse mai avuto. Da allora aveva imparato che in una galassia in cui ogni uomo non è altro che un filo d'erba che può essere tagliato dalla capricciosa falce del destino, non è saggio legarsi ad uno di essi. Gli space marine al cui fianco combatteva, a cui salvava la vita e che innumerevoli volte l'avevano salvata a lui, erano i suoi confratelli, i suoi compagni d'arme, ma mai i suoi amici.
Molti abitanti dell'Imperium pensavano che gli space marine si tenessero nel proprio stato di semi-isolamento perchè così era imposto dalle loro regole quasi monastiche.
Si sbagliavano.
I marine non stringevano alcun legame semplicemente perchè l'esperienza ha duramente insegnato loro che esse sono una debolezza imperdonabile in un mondo di morte e distruzione.
Dalla morte di Tereon erano passati centocinquanta anni, otto mesi e quattordici giorni.
In questo tempo Lucius era vissuto solo.
Con un sottile, inconsapevole dolore, il guerriero si abbandonò nuovamente ai ricordi.

Capitolo III
"Immagini di Vita"


"La polvere grigia ed il sangue scarlatto dei caduti si erano fusi in una scura poltiglia marrone che copriva gran parte delle strade del Formicaio Kaiserar. Le guardie ed i Pelleverde erano morti a decine di migliaia su quel pianeta, ma la fine delle ostilità appariva ancora lontana. Gli Orki non sarebbero stati sconfitti fino a che non fossero stati tutti morti; la loro natura non prevedeva la resa. Loro vivevano solo per la gioia selvaggia della guerra, del massacro e dello spargimento di sangue. Lucius aveva rinunciato già da tempo a capire gli Orki. Semplicemente perchè tanta brutalità insensata non aveva bisogno di essere compresa per trovare motivi sufficienti a combatterla.
Il capitano alzò gli occhi, sentendo il rumore di stivali sull'asfalto della piazza dell'enorme città.
Il Maggiore Brian Kessel dell'undicesimo reggimento Aulisiano era stato l'anima dei difensori del pianeta durante gli ultimi mesi della guerra. I suoi uomini non solo lo rispettavano, lo amavano. Kessel non era uno di quegli uomini pomposi che si crogiolano nell'arroganza del proprio potere. Combatteva sul campo insieme ai suoi soldati, con loro mangiava e dormiva e come la maggior parte dei suoi uomini la notte non sognava altro che di tornare a casa dalla propria famiglia. La gloria e l'ambizione non ottenebravano la mente dell'ufficiale e non rischiavano mai di spingerlo a mandare i suoi soldati al massacro solamente per un gallone in più sulla divisa. E questo i suoi uomini lo sapevano.
Kessel si fermò accanto a Lucius, osservando le barricate erette a difesa della strada principale.
-Reggeranno all'assalto dei Pelleverde?-, disse con aria pensierosa.
-Credo che lo scopriremo presto-, rispose Lucius -Gli Orki si stanno ammassando da due giorni a poca distanza da qui e non penso che tarderanno a lanciare il loro assalto.-
-Avete già combattuto altre volte contro questi alieni?-
Gli occhi del maggiore lo osservavano con interesse.
-Più volte di quante un uomo si possa augurare. Ho avuto modo di osservarli ed ho capito che nelle loro tattiche non vi è nulla di complesso o difficile. Si raggruppano sotto un Kapoguerra, di solito il più grosso e crudele, e poi, quando sono in numero sufficiente oppure quando non riescono più a trattenere la propria violenza bestiale, si scagliano contro il nemico in un'infinita marea verde urlante.
Purtroppo la loro prevedibilità non ne attenua la ferocia né la forza bruta.
Non sottovalutate gli Orki, Maggiore.-
Kessel rimase in silenzio, poiché non vi era nulla da aggiungere.
Poi, in silenzio, si sedette su un masso lì vicino, frugò nella tasca interna della propria giacca e ne estrasse una pittoincisione. Notando lo sguardo intenso dell'uomo, Lucius si incuriosì e domandò al Maggiore cosa stesse osservando. Kessel sorrise, mostrando una fotografia della propria famiglia. Vi erano raffigurati una donna, probabilmente la moglie dell'uomo, ed un bimbo intorno ai cinque anni che poteva essere suo figlio. Sullo sfondo stava un verde prato ed in lontananza si poteva vedere una delle fattorie per cui era famoso il pianeta natale dell'ufficiale.
-é per loro che combatto. Perchè mia moglie possa vivere tranquilla senza dover mai conoscere i dolori e le atroci sofferenze della guerra; perchè mio figlio possa crescere sano e forte e perchè possa sempre avere la possibilità di scegliere cosa fare della propria vita. Combatto anche per poterli rivedere un giorno e per poterli riabbracciare. Ucciderò ogni Orko su questo dannatissimo pianeta se si renderà necessario, ma nessuno potrà impedirmi di tornare a casa, alla mia terra e alla mia famiglia.-
Una scintilla di malinconia e forse anche di invidia brillò nell'animo del capitano. Da tempo ormai aveva dimenticato il significato della parola famiglia e non avrebbe mai immaginato che ricordarlo gli avrebbe fatto così male.
Con rabbia represse quei pensieri, indegni ed assolutamente superflui in una situazione come quella.
Ma per quanto breve fosse stato, il Maggiore aveva notato il bagliore negli occhi dello space marine.
-Un giorno li rincontrerai. In un'altra vita forse, ma li rivedrai. Tutti coloro che sono caduti ti aspettano dall'altra parte; un giorno li potrai riabbracciare. L'Imperatore non lascia privi di ricompensa coloro che lo servono con dedizione-.
Le parole del Maggiore suonarono vuote alle orecchie di Lucius.
-Io non combatto per una ricompensa, Maggiore Kessel. Combatto perchè è questo che mi si richiede di fare, perchè questo è ciò per cui sono stato addestrato e per cui un giorno morirò. Nessuno mi aspetta da nessuna parte e nessuno piangerà sulla mia tomba.
La morte è la mia unica compagna e la vittoria il mio unico scopo. Non mi venga a parlare di nostalgia, poiché non ho niente per cui valga la pena provarne-
Dette queste secche parole, Lucius si voltò, allontanandosi con passi decisi verso la barricata.
Kessel sospirò e, dopo aver dato un ultimo sguardo alla fotografia, la rimise nel taschino.

La mattina successiva Lucius si svegliò per il rumore di spari in lontananza. Dopo essersi assicurato che le barricate fossero ben salde in quella sezione difensiva della città-formicaio, lui e la sua compagnia si erano trasferiti una decina di miglia più ad est, per aiutare i difensori di un'altra zona.
I rumori di battaglia continuavano a giungere da ovest ed una chiamata di soccorso arrivò poco dopo da parte degli uomini del reggimento di Kessel. Una massiccia orda orkesca aveva assaltato le loro posizioni all'alba. Non avrebbero potuto resistere a lungo.
Lucius radunò immediatamente la sua compagnia ed iniziò a percorrere a ritroso la strada del giorno prima. Nel giro di un'ora era arrivati alla piazza, ma dei suoi difensori rimaneva ben poco. Cadaveri maciullati giacevano riversi ovunque. Gli apotecari degli space marine vagavano tra i corpi nella vana ricerca di sopravvissuti, ma Lucius sapeva già che non c’era nessun superstite. Niente scampava alla marea verde. Vagando per la piazza, ritornò alla pietra dove il giorno prima si era seduto il Maggiore Kessel. Lì giaceva l'ufficiale, riverso sulla roccia con la gola squarciata. In una mano stringeva una pistola laser, mentre l'altra era vicina ad una spada spezzata.
Lucius si chinò si di lui. Nella tasca teneva ancora la pittoincisione.
-é morto bene.-
La voce granitica del sergente Sirron giunse da dietro le sue spalle.
- Forse. Ma questo consolerà la sua famiglia e chi lo amava? Quando si è morti niente ha più molta importanza, sergente-
Senza aggiungere altro Lucius si alzò e camminando si diresse verso i resti delle barricate.


Lucius aprì gli occhi con fatica. I ricordi delle sofferenze di una vita di guerre e battaglie rischiavano di sopraffarlo.
Si era preso personalmente l'incarico di comunicare alla famiglia di Kessel la morte dell'ufficiale.
Tre mesi dopo quella mattina nel formicaio Kaiserar, Lucius si era trovato davanti una vedova in lacrime che stringeva un figlio ancora troppo piccolo per capire veramente ciò che stava succedendo. Ma dietro alla spessa coltre di lacrime, Lucius aveva scorto qualcosa di più del dolore; Lucius non sapeva bene cosa fosse, qualcuno l'avrebbe chiamato orgoglio, o forse forza d'animo, ma quello che Lucius capì è che forse quello che facciamo di fronte alla morte può consolare coloro che ricevono la notizia della nostra dipartita, ma è quello che facciamo in vita ciò che determina il ricordo che i secoli avranno di noi.
E lui? Cosa aveva fatto in quei decenni?
Aveva ucciso e sparso sangue.
Aveva vissuto?
No, era solo riuscito a sopravvivere agli anni ed a coloro che lo avevano circondato, per poi trovarsi da solo all'arrivo della morte.
Colto da una disperazione interiore sconosciuta, il capitano space marine si strinse la testa fra le mani.

Epilogo
"Incontro alla Fine"


Sirron giunse poco dopo.
-Secondo i sensori la porta non reggerà più di quindici minuti, capitano.-
Rimase silenziosamente in attesa di una risposta per qualche secondo.
- Vado a preparare gli uomini per l'ultima resistenza-, disse infine, poi si allontanò.
Lucius sembrò non averlo neanche sentito. Le parole fredde di Sirron gli scivolarono addosso. Il sergente non aveva dubbi, né esitazioni. Lui faceva ciò che gli si ordinava senza interrogarsi sul perchè tali azioni dovessero essere compiute. Il fatto che così gli venisse ordinato era per lui una motivazione più che sufficiente.
Ma Lucius, ad un passo dalla morte, aveva disperatamente bisogno di capire se la sua vita, con tutte le atrocità che l'avevano circondata, avesse davvero avuto un senso. Per anni, per secoli, aveva ucciso, distrutto e massacrato nel nome dell'Imperatore.
Ma a cosa era valso tutto ciò?
Al momento della fine non avrebbe avuto sopra la testa il cielo azzurro di Cheron ad accoglierlo, e nessuno lo avrebbe stretto fra le braccia quando sarebbe spirato.
La sua morte non sarebbe nemmeno servita, come quella di Tereon, a donare la vita a qualcun'altro, poiché nessuno, su Erchan, avrebbe avuto un futuro. La Mente Alveare avrebbe divorato ogni cosa, trasformando i corpi devastati di quei valorosi in mero nutrimento organico per il suo enorme sciame.
Nessuno avrebbe pianto il capitano alla notizia della sua morte, poiché nessuno lo aspettava in una verde fattoria. Non esiste casa per chi uccide per un tempo che è maggiore della durata della vita di molti uomini. Non c'è rimpianto per colui che in vita ha portato solo morte e distruzione. Il suo nome sarebbe finito e dimenticato nell'elenco dei caduti ed il suo unico ricordo sarebbe stata una vuota scritta in una fredda lapide di un cimitero senza fine.
Ma allora per cosa aveva sofferto per più di un secolo? Perché gli era stata salvata la vita innumerevoli volte? Era forse stato solo il gingillo di qualche divinità crudele che aveva goduto della sua sofferenza?
Aveva accumulato battaglie dopo battaglie, morte dopo morte, dolore dopo dolore.
Ed ora la stanchezza di una vita di privazioni durata per secoli si abbatteva in tutto il suo peso su delle spalle che non trovavano più la forza, né le ragioni per resisterle.
Era ormai giunto sull'orlo estremo della disperazione. Il viaggio di ricordi e di pensieri che aveva vissuto in quell'ultima ora aveva prosciugato ogni briciola della sua fede e della sua determinazione. La morte era ad un passo dal vincere sulla sua mente prima che sul suo corpo.
Ma fu una scintilla, un raggio di luce nelle tenebre.
Lucius non capì cosa avesse abbattuto le cateratte della sua mente; forse fu lo sguardo dei soldati che si schieravano in un'ultima fila di fucili che si opponeva alla distruzione; forse fu l'immagine delle donne, che si alzavano dai propri giacigli per mettersi al fianco dei propri uomini e morire con loro; forse fu il coraggio dei bambini che ricacciavano indietro le lacrime e si stringevano l'un l'altro per non affrontare la fine da soli. Lucius non seppe mai con certezza cosa l'avesse colpito, ma in quel momento comprese di non aver vissuto invano.
Non avrebbe avuto la volta di Cheron sopra la testa quando fosse giunta la fine, ma era solo grazie ai suoi sforzi e a quelli dei suoi compagni che migliaia di cittadini dell'Imperium potevano avere un cielo da guardare tutti i giorni.
Purtroppo non era riuscito a salvare Tereon, ma infinite anime potevano vedere il sorgere ed il tramontare del sole perchè lui aveva salvato la loro vita ad un passo dalla morte.
Nessuno aspettava il suo ritorno a casa, non ne aveva nemmeno una. Ma molti pianeti dovevano la propria esistenza e la felicità delle proprie famiglie ad i sacrifici e agli atti di eroismo della compagnia di Lucius. Le mogli avevano uomini da amare, i figli luoghi per crescere ed i soldati case a cui tornare, solo grazie ai suoi sforzi.
Capì che il regalo della vita non era stato fatto a lui, ma alle migliaia di persone che senza gli space marine non avrebbero avuto un cielo né una famiglia.
A lui era stata negata la possibilità di un'esistenza normale, ma gliene era stata data una ben più grande:
Lucius aveva ricevuto la possibilità di fare la differenza negli equilibri dell'universo, gli era stata data la possibilità di fare del bene o del male, la possibilità di scegliere realmente cosa fare della propria vita.
Capì di aver fatto la scelta giusta.
Per la prima volta da molti anni, Lucius sorrise.
Non il sorriso amaro del guerriero, ma quello sereno di un uomo che ha finalmente trovato il senso di quel viaggio che tutti chiamiamo vita.

Ritrovando tutte le forze che credeva perdute, il capitano si rialzò in piedi. Osservò la fila schierata che si stagliava ad un centinaio di metri dalla porta del tempio. Molti dei difensori erano giovani, quasi nessuno superava i quaranta anni, eppure tutti fronteggiavano il proprio destino con dignità, sicuri di non aver vissuto invano. Mentre i colpi sulla porta si facevano sempre più forti ed insistenti, Lucius si schierò di fronte alla linea di uomini, Sirron al suo fianco.
Non pronunciò alcun discorso, non ce n'era bisogno. Quegli uomini e donne avevano già trovato dentro se stessi tutto ciò di cui avevano bisogno per andare incontro alla fine.
Si mise al centro dello schieramento, gli occhi fissi sulla superficie della porta, che vibrava sempre più con l'aumentare dell'intensità e del fragore dei colpi delle bestie aliene.
Poi un'esplosione aprì uno squarcio nella corazza di adamantio.
Ciò che ne uscì fuori trascendeva in orrore e brutalità la visione che molti uomini hanno dell'inferno.
Con urla spaventose centinaia di creature aliene si riversarono nello squarcio, mentre su di loro torreggiavano i Carnefici e creature ancora più terribili. Il rumore delle urla e dello schioccare delle mascelle era assordante e terrificante almeno quanto la vista di quegli esseri assetati solo di sangue. Eppure nessuno degli uomini vacillò o fuggì nelle profondità del tempio. Tutti rimasero saldi ai propri posti, decisi ad andare incontro alla fine come uomini e donne dell'Imperium.
Lucius estrasse lentamente la spada potenziata, levandola ben visibile sopra la testa.
-Carica, per l'Imperatore ed il Genere Umano!-
Con questo grido si lanciò contro la marea di alieni che si avvicinava ringhiando, mentre i suoi uomini correvano dietro di lui.
L'impatto fu terribile. Molti finirono trafitti prima ancora di riuscire a comprendere cosa li avesse uccisi. Gli artigli di chitina e di osso laceravano senza fatica armature, vesti e carni.
Lucius abbatté la propria lama sui corpi di innumerevoli gaunt, decapitando ed uccidendo. Non era posseduto dall'ira, ma solo dalla fredda determinazione a morire in piedi con la spada in mano, cadendo così come era vissuto.
Colpì e tagliò, mentre attorno a lui i suoi compagni cadevano uno dopo l'altro e gli alieni prendevano spietatamente il loro posto. Non vedeva più il sergente Sirron, ma sapeva che presto lo avrebbe rivisto nell'aldilà. Continuava a dimenarsi e a combattere, ma ormai non era nulla più di una goccia nella marea Tiranide. Poco a poco numerosi squarci si aprivano nelle giunture della sua armatura. Lucius cadde in ginocchio, mentre gli alieni continuavano ad assalirlo.
Mentre l'oscurità iniziava ad avvolgerlo, Lucius ricordò le parole di Kessel.
"Sto arrivando amico mio, sto arrivando..."
Poi furono solo le tenebre.
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MessaggioTitolo: Re: Breve Antologia del Capitano Lucius   Breve Antologia del Capitano Lucius Icon_minitimeGio Set 02, 2010 4:37 pm

Fantastico complimenti! Lo credo bene che hai vinto un concorso!
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MessaggioTitolo: Re: Breve Antologia del Capitano Lucius   Breve Antologia del Capitano Lucius Icon_minitimeGio Set 02, 2010 5:17 pm

Davvero notevole, anch'io sto lavorando a un pezzo che come questo si basa su numerosi flashback in rapida successione.

Ottimo lavore Ok
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MessaggioTitolo: Re: Breve Antologia del Capitano Lucius   Breve Antologia del Capitano Lucius Icon_minitimeGio Set 02, 2010 5:23 pm

che lavoro fantastico! ti prego se ne hai altri di condividerli con noi Smile
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MessaggioTitolo: Re: Breve Antologia del Capitano Lucius   Breve Antologia del Capitano Lucius Icon_minitimeVen Set 03, 2010 7:33 am

Grazie raga, sono lusingato.

In cantiere ho altri racconti, quando li termino non esiterò a mostrarveli. Ok
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MessaggioTitolo: Re: Breve Antologia del Capitano Lucius   Breve Antologia del Capitano Lucius Icon_minitimeSab Set 04, 2010 9:34 pm

ancora non avevo avuto il tempo di leggerlo e devo dire che sono rimasto veramente sorpreso!sei veramente molto bravo!!
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MessaggioTitolo: Re: Breve Antologia del Capitano Lucius   Breve Antologia del Capitano Lucius Icon_minitime

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