La Macabra Giungla
Vento freddo. Penetra la mia armatura, facendomi sentire il freddo della prima mattina, svegliandomi con un brivido.
“Mer*a, da quanto sono addormentato?” Mi ricordo era che una notte di pioggia stavo perlustrando la foresta con la mia squadra, facendo il mio solito giro di ricognizione, quando all’improvviso l’auspex rilevò dei valori sospetti. Inseguimmo la strana traccia per miglia, fino a giungere nel folto della giungla. Improvvisamente l’auspex rilevò un brusco aumento dei valori. Stavo ordinando alla mia squadra di schierarsi secondo il modulo di difesa B31 quando all’improvviso… il balenio di un lampo e immediatamente uno spruzzo di sangue inondò il mio elmetto, accecandomi. Subito dopo mi arrivò un colpo all’addome che mi fece barcollare indietro dal dolore, sentii la terra cedere sotto i miei pesanti stivali di ceramite, poi il buio.
Apro gli occhi, ma non vedo niente. Dopo un attimo di sgomento, provo a passare la mano sull’elmetto e riesco a togliere il sangue che vi si era incrostato. Provò ad alzarmi, ma sento una fitta al fianco che mi fa gemere. Guardando in alto vedo che una decina di metri più in alto il rilievo sul quale ero prima di cadere. Giro poi la testa a destra e a sinistra per cercare i miei Fratelli e vedere dove mi trovo, ma non trovo segno di vita alcuno. Per quanto riguarda il posto, vedo che sono finito in un crepaccio, molto profondo. Sono stato fortunato a non morire tra atroci dolori sui vari spuntoni che sporgono dalle pareti.
Comunque è ora di muoversi. Devo alzarmi e tornare al quartier generale a fare rapporto e scoprire cosa è successo. Controllo con i sensori che l’armatura funzioni; poteva andare peggio, solo i meccanismi del braccio sinistro sono seriamente danneggiati, anche se l’energia del sistema è solo al 65 %.
Facendo forza sulle gambe e sul braccio sano, mi alzo e mi appoggio al muro. La ferita fa male, e guardandola vedo che è più grave di quello che sembrava. L’armatura è lacerata all’altezza delle ultime costole, e il taglio è profondo 5 centimetri. Il sangue cola lentamente dalla ferita, lasciando una striscia rossa che si confonde sull’armatura, anch’essa cremisi. Le abilità rigenerative superiori degli Space Marine hanno già fatto molto e mi hanno salvato da morte certa, ma non possono farcela da sole. Osservando l’ambiente circostante noto una pianta di Nexterian Salutis, rinomata per le sue proprietà curative, uniche sul pianeta. Strappo una delle sue foglie, e dopo averla masticata la spalmo sulla ferita. Una generale sensazione di frescura si sparge per il corpo, dandomi un momentaneo sollievo.
Con uno sforzo del braccio destro tolgo la fascia votiva dal braccio sinistro e la uso come pezza per fermare la fuoriuscita di sangue.
Ora che sono fuori pericolo posso osservare meglio dove mi trovo. Sono finito in una spaccatura del terreno , completamente coperta dalla vegetazione tipica del pianeta. A stento la luce del sole riesce a passare attraverso i folti alberi che svettano dal bordo del crepaccio. L’umidità è soffocante, solo grazie all’elmetto che filtra l’aria che respiro riesco a non sentire tutta l’opprimente cappa di afa che aleggia nel sottobosco e nel crepaccio.
Improvvisamente mentre mi guardo intorno vedo un oggetto che mi rende felice: la mia fedele ascia a catena modello XIII, l’ultimo ritrovato dei tecnopreti di Marte. Zoppicando, a passi lenti, la raggiungo e la raccolgo. Per fortuna che il filo non si è smussato nella caduta. Premendo il tasto di accensione un ruggito aleggia nella foresta, un roboante suono che fa innalzare le migliaia di uccelli appollaiati sugli alberi sovrastanti.
Soddisfatto, la lego alla cintura e osservo se c’è qualche via di uscita da questo oscuro buco.
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“Maledetti Space Marine, pretendono di “andare in ricognizione” da soli quando poi vanno a cacciare le bestie più feroci del pianeta solo per sfizio. E poi chi è che deve andare a cercare i loro resti se non sono tornati? Sempre io, il povero Sarkitar. Soltanto perché non sono risultato idoneo per diventare Space Marine, pensano che ormai debba servirli per l'eternità. Ahhh, che rabbia, sono così boriosi! E si credono superiori a tutti!”
Mentre Sarkitar camminava nella folta vegetazione, fucile laser alla mano, un’ombra lo seguiva furtiva e silenziosa dietro gli alberi.
Improvvisamente Sarkitar si fermò e il suo volto divenne livido, contorto in una smorfia di paura.
Prese qualcosa da terra, ma lo lasciò cadere subito, inorridito. La testa ancora dentro l'elmetto rotolò sulle foglie morte. Improvvisamente si voltò e iniziò a correre.
L’ombra prese anch’essa ad aumentare la sua velocità per non perdere il nemico, senza preoccuparsi più del rumore che avesse provocato. Sarkitar sentendo il rumore cercò di correre più forte, ma ormai era allo stremo, non poteva farcela, e per l’agitazione non vide una radice sporgente e vi inciampò sopra, cadendo sul tappeto del sottobosco costituito da foglie morte. Ormai conscio di non avere più via di scampo, Sarkitar si girò per vedere il suo misterioso assalitore.
Un grido echeggiò per la foresta.
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All’improvviso l’elmetto separò dai rumori circostanti uno strano rumore. Dopo l’analisi vocale, seppi che il suono identificato era appartenente ad un Umano e grazie ai sofisticati strumenti di rilevazione dell’elmetto, riuscii anche a sapere che il soggetto che aveva emesso il suono era in preda ad uno stato di agitazione estrema.
Maledizione, un brutto momento per scalare un crepaccio, ma ormai ero quasi a metà, non potevo mollare.
La ferita stava bruciando, i muscoli lacerati dal taglio, tesi nello sforzo, urlavano il loro dolore nella mia testa. Ma non potevo mollare, altrimenti i miei Fratelli sarebbero morti invano.
Con un grido ed uno spasmo del corpo, sollevai il braccio sinistro tenendo stretta l’ascia a catena e la infilai nella roccia, conficcandola in profondità grazie ai suoi denti di adamantino. Facendo forza sulle braccia, mi portai ancora più in alto, verso la salvezza. Dopo qualche intenso minuto riuscii a uscire dalla spaccatura. Appena uscito, mi lasciai cadere sull’erba distrutto.
La ferita aveva ripreso a sanguinare copiosamente, e ormai nulla potevano la mia costituzione superiore e le foglie curative.
Ma dovevo farcela, non potevo fallire. Non potevo fallire!.
Urlando lodi all’Imperatore per sovrastare lo sfinimento e il dolore della ferita, mi rialzai, risoluto, ormai solo la forza di volontà mi teneva in piedi. Continuando a salmodiare lodi all’imperatore iniziai a camminare, un passo dopo l’altro, gli occhi pieni di furore sacro.
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La testa di Sarkitar era rivolta verso la volta di alberi, di un verde informe. Gli occhi vacui erano aperti, con le pupille dilatate in un ultimo sguardo di puro terrore. Le viscere dello sfortunato uomo erano sparse per terra, dilaniate. L’orrido predatore dopo aver finito il suo macabro pasto sentì qualcosa, e di colpo iniziò a correre verso un punto della foresta.
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In un istante davanti al possente Space Marine ricoperto di sangue comparve una creatura da incubo, uscita dai peggiori pensieri nascosti nel profondo di ogni essere vivente.
Eguagliava, se non addirittura superava, in altezza anche l’imponente Space Marine. Aveva una coda uncinata che sferzava l’aria, facendo volare gocce di sangue caldo, ricordo del pasto appena consumato. La sua “faccia”, se così si può chiamare, aveva due occhi spaventosi, neri come l’abisso, e una selva di tentacoli e barbigli uncinati che si contorcevano silenziosamente. Aveva 4 braccia, di cui due terminavano in opache falci, da cui gocciolava lentamente del sangue, mentre le rimanenti braccia finivano con delle mani a tre dita, ognuna con un affilato artiglio. Passò un istante prima che lo Space Marine vedesse l’orrenda bestia, e poi con un urlo che racchiudeva tutta la rabbia ferina del superuomo lo caricasse con la ruggente ascia a catena. Con un’agilità incredibile il mostro cercò di schivare il colpo, ma la forza con cui il Suppliziante aveva portato il colpo era troppa, troppa era la rabbia e la fede dell’uomo, che colpì con uno schianto il terreno passando attraverso il corpo dell’orrendo predatore, facendo schizzare una fiotto di sangue verde putrido sul terreno. Intanto però l’alieno (tale doveva essere) aveva usato la sua falce per cercare di squartare lo Space Marine sulla schiena, colpendolo. L’alieno cadde a terra, mentre il corpo si muoveva con alcuni spasmi, cercando di restare attaccato alla vita. Il Suppliziante, ormai con gli occhi vacui, cadde a terra anche lui, senza un lamento.
Improvvisamente giunsero degli strani esseri, simili all’Alieno più grande ma più gracili e bassi, che iniziarono a cibarsi dei due corpi a terra.
Improvvisamente il cielo si oscurò, e nella volta celeste comparve una strana macchia che si contorceva lentamente.
La guerra era iniziata.
P.S. Scusate il ritardo