Il Vecchio Mondo -Warhammer Fantasy e 40K-
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 la guardia di dulnheim by LucklamFrost

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AutoreMessaggio
Soveliss
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Soveliss


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MessaggioTitolo: la guardia di dulnheim by LucklamFrost   la guardia di dulnheim by LucklamFrost Icon_minitimeSab Giu 26, 2010 1:19 pm

Capitolo Primo: ''Pessima giornata''

Averland, anno 2518

Era un giorno come tutti gli altri per il lunatico ed
eccentrico Marius Leitdorf, Conte Elettore dell'Averland, tranne per il
fatto che avrebbe dovuto andare in visita presso la cittadina di
Dulnheim, ricostruita da circa due mesi dopo un lungo assedio dei
pelleverde.
Proprio quella mattina, il suo vestito migliore si era
macchiata pre colpa di uno sbadato inserviente (il quale fu prontamente
imprigionato a tempo indeterminato), per questo il Conte era un tantino
irritato.
Come di consueto, non aveva memoria dei propri impegni,
così, quando fu informato dell'incombente partenza, il suo umore
peggiorò vistosamente, andando ad accantonare qual briciolo di
razionalità che ancora albergava nella mente del povero Leitdorf. Egli
si diresse con foga verso la propria camera ed iniziò a prepararsi,
quando ad un tratto ebbe una sorta di illuminazione: fece convocare al
suo cospetto il conestabile, con l'intenzione di inviare un messaggero a
Dulnheim per disdire l'impegno preso. Suo malgrado però, il
conestabile, con il garbo e l'affabilità che si addicono ad un
cortigiano che si rispetti, gli ricordò che sarebbe stata già la terza
volta in meno di un mese, così il Conte, ormai avvilito e frustrato, si
risolse a partire, di modo che avrebbe finalmente adempito
all'indesiderata mansione.
Circa mezz'ora più tardi, egli era già in
viaggio, comodamente sdraiato sul divanetto all'interno della sua
lussuosa carrozza. Al suo seguito viaggiavano una decina di cavalieri
armati di tutto punto, le armature lucidate e gli elmi sul capo, seguiti
a loro volta da un gruppetto di servi del Conte, sempre a cavallo. A
precedere il passo di Sua Regalità, invece, c'erano degli esploratori
con archi, balestre ed archibugi, di modo che con i loro cannocchiali ed
alcuni falchi, avrebbero potuto sventare eventuali imboscate o
avvertire la carovana per tempo, questo, teoricamente.
Ad un tratto
mentre Leitdorf era sul punto di cedere alla stanchezza, udì uno sparo,
poi un altro ed un altro ancora. Poi rumore di zoccoli e spade: la
carrozza cessò di muoversi. Poi un lunghissimo silenzio. Egli rimase in
attesa, immobile, la mano serrata attorno all'elsa della spada, prezioso
cimelio di famiglia e compagna di molte battaglie. ''Che pessima
giornata..'' - pensò il Conte - ''avrei fatto meglio a non dare ascolto a
quel dannato conestabile..''.
Dei secondi passarono e divennero ben
presto minuti, poi l'ansia e la paura colsero Leitdorf: come mai tutto
era fermo e così silenzioso? ''Che pessima giornata..'' - ripetè.
Leitdorf
ancora non sapeva che non bastavano un vestito macchiato ed i suoi
impegni da Conte per rendere una giornata pessima, ma lo avrebbe
scoperto presto, molto presto...

Capitolo Secondo: ''Incubi
Diurni''. Buona lettura.

Nessuno sa con certezza se a spingere il Conte ad
uscire dalla carrozza furono uno sprazzo di lucidità o la sua pazzia.
Forse nessuna delle due, semplicemente la paura.
Fatto sta che non
appena i suoi occhi si adattarono alla luce del Sole, ebbe un mancamento
per la scena che gli si parò dinanzi: la carrozza era ferma su una
stradina sterrata circondata dal bosco, la luce irradiava a stento la
zona; tutti i suoi uomini erano spariti, compresi i cavalli ed il
cocchiere. Come prima cosa si lasciò cadere al suolo per cercare i segni
del loro passaggio, sperando di trovare una pista o almeno di capire
cosa fosse successo, ma fu tutto inutile. Si rialzò, si diede una
spolveratina al vestito e si guardò intorno. Quello che vide non fu
rassicurante: il Sole stava calando, probabilmente avrebbe avuto poco
più di un'ora di luce.
Iniziò a tremare. La paura aveva quasi preso
il sopravvento sullo sventurato Leitdrof, quando, ad un tratto, la sua
vista ben sviluppata colse con la coda dell'occhio uno scintillio
qualche metro più avanti di dove era ferma la carrozza. Egli si avvicinò
e raccolse la fonte di tale bagliore, esaminandola: un anello. Era un
anello metallico, probabilmente d'argento, intarsiato all'interno con
piccolissimi simboli strani, quasi sicuramente si trattava di una lingua
a lui sconosciuta, non che ne conoscesse altre al di fuori del
Reikspiel. Pose l'anello in controluce, di modo che i simboli fossero
meglio visibili, ma non ottenne molto.
Poco dopo, stanco, impaurito e
solo, si sedette con la schiena appoggiata allo spesso tronco di un
albero al limitare della strada ed iniziò a riflettere.
Mai come
allora, si sentì pieno di raziocinio e lucidità, cosa strana per una
persona come lui. La sua prima ipotesi fu di essere vittima di un
complotto, abituato com'era a vedere nemici ovunque, ma ben presto
cambiò idea e si autoconvinse che tutto ciò non era possibile, quindi
l'unica spiegazione era che quello che stava vivendo era tutto un sogno.
''E' solo un sogno.. è solo un brutto sogno..'' - iniziò a ripetersi.
Cominciò
a vagare senza meta, seguendo la stradina, infinita solo a guardarla,
forte ormai della sua convinzione.
La monotonia del paesaggio era
disarmantee sinistra, ma non per Lietdorf, non ora che credeva di essere
in un sogno. Appunto, credeva.
Dopo neanche un centinaio di metri
percorsi, udì un rumore provenire dalla foresta, alle sue spalle. Si
blocco di colpo, paralizzato dalla paura. Con una lentezza innaturale,
volse il capo nella direzione da cui aveva udito il sinistro fruscio.
Sbiancò, poi il buio.

Capitolo Terzo: ''Luna Insanguinata''

Dulnheim, 2518

Era il crepuscolo, quando Leopold, un ragazzino di
appena tredici anni, avvistò in lontananza una schiera di cavalieri
seguiti da una carrozza mentre si dirigevano verso Dulnheim.
Corse
subito ad avvisare gli altri che il Conte Leitdorf stava per arrivare,
così furono subito terminati i preparativi per l'accoglienza dei
viaggiatori e furono portati in piazza i fuochi d'artificio che
sarebbero stati mostrati al Conte. C'era un'atmosfera di eccitazione,
una sorta di elettricità permeava la zona. Il Conte era finalmente
arrivato a Dulnheim e avrebbe visitato la cittadina dopo la
ricostruzione, avrebbe riposato in uno dei comodi letti messi a
disposizione dai gentili abitanti, avrebbe assistito allo spettacolo
pirotecnico ed avrebbe cenato al grande tavolo imbandito al centro della
piazza principale. Il giorno seguente invece, avrebbe conosciuto il
Capitano Hermann ed il giovane prete Friederich Von Strum, coloro che
avevano spezzato l'assedio dei pelleverde qualche mese prima ed avevano
dato anima e corpo affinchè la ricostruzione fosse ultimata il prima ed
il meglio possibile.
Qualche minuto dopo, i cancelli furono aperti e
la carovana si fece largo tra la folla, all'interno della cittadina
fluviale. Tutti avevano lo sguardo fisso sui cavalieri e sulla carrozza
aurea, dalla quale sarebbe scesa Sua regalità.
Friederich notò
qualcosa di strano, ma non sapeva ancora bene cosa: gli era parso di
udire qualcosa sibilare all'interno della carrozza. Le armature dei
cavalieri inoltre, sembravano risplendere di un flebile bagliore tra il
rosa ed il viola. ''Saranno le torce o la luce degli astri'' - ipotizzò.
Ma, per sua sventura, così non era.
La folla, intanto, si allontanò
dalla carovana con riverenza e timore allo stesso tempo, le gesta folli
del Conte non erano certo rimaste alla sua corte.
Ci furono alcuni
secondi di silenzio totale, nell'attesa che Leitdorf si facesse vedere,
ma ciò non avvenne. I cavalieri smontarono dai cavalli. Intanto, altri
uomini a piedi, con le stesse armi ed armature dei cavalieri, entrarono
dal cancello, che intanto era rimasto aperto, ma nessuno sembrò
curarsene. Poi, una tenda della carrozza fu scostata da uno dei
cavalieri, probabilmente il Precettore.
A rompere il silenzio, fu il
frastuono provocato dalla chiusura del cancello da parte degli uomini
del Conte. All'unisono, essi sguainarono le spade ed imbracciarono gli
scudi. Un uomo, alto e robusto, scese lentamente dalla carrozza: il suo
viso era pallido, gli occhi erano giallastri e vitrei, l'armatura
dorata. Egli si avvicinò al capitano Hermann, sguainò la spada e con una
rapidità che non è di questo mondo, gli recise di nettò il capo. Ci fu
un momento di confusione generale e la folla cominciò a fuggire e
strepitare.
Friederich impallidì quando assistette alla scena.
L'immagine della testa di Hermann che rotolava via dal corpo lo tormentò
mentre corse verso la chiesa di Sigmar. Il nefasto
sconosciuto urlò al cielo - ''PER SLANEESH!'' - poi, rivolgendosi ai
suoi - ''Non lasciate superstiti, uccideteli tutti, ma prima uccidete i
bambini davanti ai loro occhi.'' - mentre un ghigno prendeva forma sul
suo volto.

Capitolo Quarto: ''Ombre dal passato''

In un luogo imprecisato nell'Averland, 2518

''Vieni.. vieni da me.. io ti accoglierò come fossi
tua madre.. non avere paura.. vieni da me.. VIENI DA ME!!''
Leitdorf si riprese di soprassalto. Lentamente aprì gli
occhi, tentando di abituarsi al buio circostante. Aveva un mal di testa
lancinante, come mai prima di allora. Capì che non era in un sogno,
almeno non in quel momento. Si rialzò a fatica, facendo leva sulla sua
spada. Aveva sognato di essere disarmato, nudo, vittima delle torture
mentali di Larudha, una strega del culto di Slaneesh che egli stesso
uccise tempo addietro; ella giurò che si sarebbe vendicata.
Ben
presto, il Conte comprese di essere nello stesso luogo in cui si trovava
prima di essere colpito alla tempia ed al torace da un orso nero. Toccò
il punto in cui aveva ricevuto il colpo, il sangue si era già seccato.
Stranamente però l'orso non aveva infierito su di lui, evidentemente
qualcosa doveva averlo spaventato.
La testa gli provocava un dolore
indescrivibile che continuava ad aumentare. Con una mano si asciugò il
sudore che gli imperleava la fronte e quando fece per asciugarla sulla
veste, notò qualcosa di strano ed inquietante: aveva l'anello, ritrovato
qualche ora prima, al dito medio, ma non ricordava di esserselo messo:
ora emanava un lieve bagliore rosastro. Istintivamente, provò a
toglierselo, ma non appena lo toccò, gli sembrò che la sua testa stesse
esplodendo e si accasciò al suolo. Capì che non era una casualità,
qualcuno si stava divertendo alle sue spalle.
Si fece forza e si alzò
ancora una volta e cominciò nuovamente a seguire la strada, determinato
a trovare la fonte degli eventi accadutigli quel giorno.
Quasi due
ore più tardi, la stanchezza prevalse su di lui, così si addentrò nella
foresta per trovare un riparo. Poco dopo riuscì a trovare una piccola
cavità naturale, dove si sdraiò, aspettandò che il sonno lo cogliesse.
Ci volle poco. Il suo fu un sonno tormentato ed irrequieto: fece di
nuovo lo stesso incubo, ripetutamente. E ripetutamente si svegliò e si
riaddormentò.

La mattina seguente, il mal di testa sembrava
essere diminuito; ne approfittò per riprendere la strada. Trovò un
ruscello, dal quale bevve e si lavò superficialmente. Scoprì ben presto
di essere affamato, così si mise in cerca di cibo: trovò dei frutti
invitanti ed alcune bacche. Non erano di certo un pasto regale, ma
l'istinto di sopravvivenza lo convinse a cibarsene e portarne altri con
sé.
Dopo circa altre due ore di cammino, riuscì a scorgere in
lontananza le mura di una cittadina, ma delle fiamme danzanti e dei
serpenti di fumo nero si levavano dal loro interno.
La testa del
Conte riprese a far male, a tal punto che cadde in terra, febbricitante.
Tutto ciò che vide furono alcuni uomini che lo trascinarono al buio di
un tugurio, dove perse conoscenza.

Capitolo Quinto: ''Perdizione''

Dulnheim, 2518

Un getto d'acqua gelida sul viso fece si che il Conte
si riprendesse rapidamente. La testa bruciava, sentiva le palpebre
pesanti e le forze lo avevano quasi abbandonato: erano gli effetti di un
male che la medicina dell'epoca non avrebbe potuto curare, poichè non
era di origini naturali.
Riuscì a malapena a sedersi ed appoggiarsi
al muro alle sue spalle, poi si guardò intorno: era in una sorta di
cella sudicia e colma di un tanfo di cadavere che gli dava il
voltastomaco.
I suoi aguzzini non ci misero molto a palesarsi: un
uomo di media statura, capelli lunghi e neri, occhi color ghiaccio; ed
una donna, piuttosto alta e bella, capelli rossi ed occhi verdi. Gli
intimarono di alzarsi, ma lui non ce la faceva, non in quelle
condizioni. L'uomo lo sollevò di peso e lo trascinò con sé, fuori dalla
cella. Fu portato, non senza essere strattonato plurime volte, in
un'altra stanza illuminata da torce e priva di finestre; probabilmente
si trovava in un sotterraneo. Al centro della stanza c'era una gabbia e
dentro di essa, una fanciulla, avrà avuto si e no dodici anni.
Da un
luogo imprecisato, si mostrò una donna anziana, capelli radi, grigi e
sporchi; occhi vitrei, come quelli di una persona che non ha mai
conosciuto l'amore e la felicità. Inizialmente Leitdorf non la vedeva
bene, ma quando mise a fuoco l'immagine e la sua memoria, per quanto
fallace, la abbinò a Larudha, egli ebbe un tremito di paura. Sapeva che
probabilmente non avrebbe mai più rivisto la luce del Sole. Iniziò a
biascicare preghiere per un dio in cui non credeva. ''Che uomo ipocrita,
stolto ed inutile che sei, caro Marius.. non sei cambiato affatto!'' -
disse Larudha. ''Credi davvero che Sigmar possa impedire al destino che
ho in serbo per te di compiersi?! SCIOCCO!'' - ella continuò; il tono si
faceva via via più concitato. ''Mettetelo in piedi, dategli la sua
spada e lasciateci soli.'' - disse ai due aguzzini, evidentemente suoi
sottoposti o, semplicemente, dei mercenari.
Essi ubbidirono. Leitdorf
sentiva il peso del suo male su di sé, sentiva che la vendetta di
Larudha non si sarebbe limitata ad una morte rapida, ma lo avrebbe fatto
soffrire. Questa volta ci vide giusto.
Larudha aprì la gabbia e fece
uscire la ragazzina, la quale, spaventata, si mise a piangere.
''Uccidila!''
- intimò la strega al Conte. ''UCCIDILA ORA!'' - continuò.
Leitdorf
non gradiva la prospettiva di uccidere una fanciulla e tentò il dialogo:
''Come fai ad essere ancora viva, eh Larudha?'' - disse - ''Tu sei
morta per mano mia, uccisa dalla lama della stessa spada che ho in mano
in questo momento'' - continuò lui - ''Questa lama si è bagnata del tuo
sangue, non credi che sia ora di 'rinfrescarele' la memoria?''.
''Oh,
mio caro Marius, non essere così pieno di te.. sei debole, malato e
pazzo. Ma, cosa più importante, sei in mio potere. Vedi quell'anello?
Bene, quello mi permette di leggere nella tua mente ed infliggerti
dolore tramite il pensiero. Posso anche comandare i tuoi flaccidi
muscoli, se lo voglio.'' - replicò Larudha - ''Ora, tu ucciderai questa
vergine! TU! Tu sei l'ingrediente principale del mio rituale!''.

I muscoli del Conte non risposero più ai comandi. Si
avvicinò alla ragazza, sollevando la lama. Quando fu abbastanza vicino,
tentò con tutte le sue forze di riprendere il controllo del suo corpo,
ma invano.
Poco dopo, il suo braccio divenne quello di un boia e la
testa della fanciulla rotolò via dal suo corpo: il viso del Conte
assunse un'espressione di orrore e disgusto.
Il rituale era iniziato,
ormai, e nulla poteva più fermare il ritorno del Principe del Piacere e
della Sofferenza.
Il Conte aveva versato il sangue di una vergine
innocente, il suo atto impuro e sacrilego sarebbe stato utilizzato per
un rituale oscuro e malvagio.
Leitdorf si sentì come una marionetta, i
cui fili si stavano intrecciando. Irrimediabilmente.

Capitolo Sesto: ''Speranza''

Nei pressi di Dulnheim, 2518

Gli echi degli avvenimenti e dello scontro tenutosi la
sera prima tormentavano Friederich. Si chiedeva perchè Sigmar, il dio
che tanto pregavano, avesse permesso che ciò accadesse. Hermann, il suo
migliore amico, era morto e non era certo l'unico: il bilancio della
battaglia tra le forze di Slaneesh e l'esercito di Dulnheim pendeva a
favore dei primi.
Friederich fece una stima delle risorse umane e non
che erano state esaurite la notte precedente: circa una trentina di
uomini avevano tragicamente perso la vita, innumerevoli invece erano le
bende e le erbe medicinali utilizzate; la polvere da sparo era quasi
terminata ed era rimasto un solo cannone. A sua disposizione, aveva
altri trenta uomini, forse qualcuno di più. Le donne ed i bambini erano
stati portati in un luogo sicuro ed impenetrabile, dove Friederich ed
Hermann erano soliti trascorrere i loro pomeriggi spensierati. Bei tempi
quelli.. niente guerre, niente problemi, niente morti.
Il prete
iniziò a vagare nei dintorni del campo improvvisato, senza sapere
neanche lui cosa stesse cercando. Ripensò alla battaglia: i suoi
avversari erano inferiori di numero, ma la loro maestria nell'uso delle
armi era quasi impareggiabile e fece la differenza contro un esercito
impreparato come il loro. La sua fede e la sua volontà, quelle che fino a
poco tempo addietro credeva ferree ed inattacabili, si ritrovavano ora a
vacillare su di un immenso e minaccioso baratro, il cui fondo era
oscuro.
Ad un tratto, un ricordo riaffiorò nella mente di Friederich:
quando era bambino, gli fu raccontata la storia di Brumvald; la
ricordava a memoria:

''Brumvald era un giovane in cerca di
fama,
così per terre e per mari a vagare iniziò.
Dove lo condusse
la sua brama?
Di questo, per narrarvi io sto.
Egli era forte e
spavaldo, nessuna paura aveva,
ma per sua sfortuna, il demonio
incontrò.
Egli era un fiero guerriero, ma sconfiggerlo non poteva,
così,
per salvarsi, la fuga tentò.
Il demonio alle sue calcagna si mise,
ma
Brumvald ebbe un'idea al calar della luce:

attese; la creatura, stolta, lo raggiunse e lo
derise.
Il giovane eroe le volse uno sguardo truce,
lo scontrò
iniziò: con l'astuzia la ingannò,
poi la sua lama impietosa sulla
testa di essa calò.''

La filastrocca sollevò il morale di
Friederich: se non potevano batterli con la forza, avrebbero usato
l'astuzia. Sapeva che i nemici non avrebbero tardato ad attaccare
nuovamente, la nebbia aveva solo fatto si che lo scontro fosse
ritardato. Con la speranza rinvigorita, tornò dai suoi uomini e progettò
la controffensiva: avrebbe posto alcuni balestrieri su un colle poco
distante, così che avrebbero colto il nemico di sopresa con una salva di
dardi. Dal fronte avrebbe fatto fuoco col cannone ed alcuni
archibugieri. Dal fianco destro, poi, avrebbe mandato i dieci uomini più
forti e resistenti che aveva. Dal retro, infine, sarebbe arrivato lui
con un gruppetto di cavalieri d'elité.
La nebbia e la scarsa
visibilità avrebbero giocato un ruolo fondamentale nel suo piano;
giocava sul fatto che gli invasori non erano abituati a tale clima, così
i suoi avrebbero approfittato dello svantaggio iniziale per vincere la
battaglia. Il suo, si convinse, era un piano ineccepibile e non aveva
torto. Rese grazi a Sigmar per l'illuminazione e fece appello a tutte le
sue forze.
Questa sarebbe stata un'impresa epica, le loro gesta,
comunque sarebbe andata, sarebbero state ricordate dai posteri: la
storia avrebbe consacrato i loro nomi. Friederich poteva sentire la
forza e la fede ritrovate scorrergli nelle vene, l'adrenalina mista al
timore di fallire lo inebriarono.
''Questo giorno ci è propizio,
possano tutti gli dei assistere alla nostra impresa!'' - urlò ai suoi -
''Questo è il giorno della rivalsa, questo giorno consacrerà Dulnheim e
la sua gente.. tutti coloro che sono morti e che moriranno non lo
avranno fatto invano! NOI VINCEREMO! Noi...''
Le sue parole gli si
spensero quasi in gola quando vide il cielo divenire cupo, le nuvole
scure e cariche di elettricità si fecero portavoce di un oscuro presagio
di morte e disperazione.

Capitolo Settimo: ''Libertà''

In un sotterraneo di Dulnheim, 2518

Larudha aveva iniziato a danzare e parlare in una
lingua sconosciuta al Conte attorno ad un calderone, colmo di uno strano
liquido ribollente e maleodorante. Leitdorf percepiva il male adunarsi
nella zona in cui si trovavano; l'anello al suo dito intensificò il
bagliore che divenne di un rosa più vivo.
Egli era ormai convinto che
la sua vita stessa per giungere ad una spiacevole conclusione. Trovò un
attimo in cui pentirsi di tutto quello che aveva fatto, giurò che se si
fosse salvato sarebbe divenuto una persona migliore; avrebbe
rispolverato e lucidato la sua ''aureola''.
Ad un certo punto,
Larudha interruppe il rituale. I suoi occhi erano divenuti bianchi ed
aumentavano man mano in luminosità, quasi come fossero torce.
Un
bagliore accecante, colmo di un'energia mistica, proruppe all'interno
della sala, travolgendo il Conte, il quale perse conoscenza.
Si
riprese qualche minuto dopo. Si sentiva decisamente meglio, era come se
fosse stato revitalizzato; il male estirpato.
Ci mise poco a scoprire
con sommo orrore che Larudha stava subendo gli effetti di una qualche
mutazione: due protuberanze stavano crescendo sulla sua schiena, altre
due, più piccole, sulla sua fronte. Il corpo, da quello di una vecchia
decrepita, si stava trasformando in quello di un demone alato dalla
possanza epica.
Leitdorf si accorse che l'anello si era carbonizzato,
così, approfittando della situazione propizia, tentò la fuga. Si era
però dimenticato dei due mercenari, che tentarono goffamente di
acciuffarlo, ma invano. In un attimo fu allo scoperto. Si concesse
qualche secondo per respirare a pieni polmoni e sentire i raggi del Sole
su di sé, poi, conscio della situazione, riprese a fuggire.
Corse
per una ventina di minuti, poi, quando fu sicuro di non essere seguito,
si lasciò cadere al suolo, la schiena rivolta al tronco di una quercia.
''CE
L'HO FATTA!'' - esclamò, traboccante di gioia. Ma non era del tutto
esatto: se il demone avesse conservato i ricordi di Larudha, avrebbe
fatto di tutto per stanarlo e compiere la sua vendetta.
Si rimise a
correre dopo qualche minuto, cercando di non lasciare tracce troppo
evidenti della sua presenza. Durante la corsa cercò di individuare
possibili fonti di cibo e acqua, fermandosi alcune volte per i dovuti
approvigionamenti.
Dopo aver percorso più di quanto avesse mai fatto a
piedi durante la sua vita, si fermò per prendere fiato e capire dove si
trovasse. Il Sole stava per tramontare, era quasi il crepuscolo.
Fu
allora che udì delle voci in lontananza. In un primo momento rimase
fermo ed in silenzio, ma le voci sembravano sempre più vicine; ad esse
si aggiunse un rumore di passi nella boscaglia e quello di qualche ramo
spezzato. Potevano essere dei Predoni.
Non sapendo cosa fare, fu
preso da un attacco di panico. Il terrore di perdere la libertà e,
probabilmente la vita, così duramente riconquistata lo spinse a
sguainare la spada: avrebbe combattuto se necessario, meglio morire lì
che per mano di un demone o in un letto caldo e vecchio, attorniato da
ipocriti che bramavano unicamente il potere.
Inebriato dalla follia e
dal coraggio, le mani serrate attorno all'elsa della fedele lama, corse
nella direzione da cui provenivano i rumori, gridando al mondo intero
il suo nome: - ''MARIUS LEITDORF, CONTE ELETTORE DELL'AVERLAND!!''.

Capitolo Ottavo: ''Prima della Tempesta''


In una radura, nei pressi di Dulnheim, 2518

Friederich stava ultimando i preparativi per il suo
piano di battaglia, quando gli uomini che aveva mandato a prendere dei
tronchi nella foresta tornarono eccitati e festosi, sostenendo di aver
trovato il Conte.
Il prete si diresse con passo svelto verso i suoi,
ansioso di incontrare il Conte. Lo vide: era un uomo piuttosto alto, il
viso pallido e scavato, occhiaie profonde attorniavano i suoi occhi.
Aveva vestiti trasandati e sporchi, capelli lunghi e grigi, occhi verde
chiaro, il colore della speranza.
Nonostante il suo aspetto e ciò
che aveva passato, un sorriso compiaciuto era impresso sul suo volto.
Friederich
si affrettò a trovargli una branda ed a prestargli cure mediche,
dicendogli di riposare finchè avesse potuto, poichè entro breve ci
sarebbe stata la battaglia definitiva. Leitdorf chiese spiegazioni e
Friederich gli narrò l'antefatto, non senza una mesta espressione sul
viso. Il Conte aveva troppo paura di partecipare alla battaglia, ma
prima o poi avrebbe dovuto affrontare i suoi demoni.
Il Sigmarita
lasciò riposare il Conte, dirigendosi verso i suoi uomini, per
prepararli alla battaglia imminente. Sentiva che i nemici erano vicini.
La
nebbia non tardò a formarsi, questa volta era più fitta che mai.
L'umidità permeava la zona ed il vento soffiava impetuoso. Le nuvole
nere erano scomparse, lasciando posto alla Luna, la cui luce, per quanto
fioca, irradiava la radura donandole un aspetto spettrale.
Leitdorf
non riuscì a prendere sonno. Ben presto senti che Larudha si stava
avvicinando, la loro era quasi un'empatia perversa. Sapeva che doveva
combattere, la fuga non lo avrebbe portato da nessuna parte se non alla
sua tomba. Avrebbe imbracciato la sua fedele lama. Avrebbe cercato di
uccidere la strega, che ormai aveva preso le sembianze del Principe del
Piacere e della Sofferenza, incarnazione del suo dio.
Friederich
fornì un cavallo al Conte, di modo che avrebbero caricato insieme dal
retro la fanteria nemica. Il prete era determinato a vincere, ma era
determinato oltremodo a vendicare Hermann: avrebbe ripagato il
comandante avversario con la stessa moneta.

Neanche mezz'ora più
tardi, le truppe nemiche si fecero strada nella radura.
Fu allora che
Friederich diede l'ordine.
C'era però una variabile che non aveva
considerato e di cui il Conte aveva dimenticato di riferirgli: Larudha.

Capitolo Nono: ''Vendetta''


In una radura, nei pressi di Dulnheim, 2518

''Adesso!!'' - fu l'ordine di Friederich ai suoi
uomini, i quali prontamente misero in atto il piano.
Una salva di
dardi fu scagliata sui nemici, i quali, colti alla sprovvista, non
poterono difendersi. Alcuni caddero, altri furono feriti.
''Fuoco!!''
- ordinò poi il prete. Gli archibugieri fecero fuoco dal fronte, poi fu
il turno del cannone, il cui colpo esplose tra i seguaci di Slaneesh.
Quando
sentì che era il momento giusto, ordinò ai guerrieri armati di spada e
scudo di caricare sul fianco. Erano un decina di uomini, non di più, ma
Friederich aveva scelto i più esperti e forti in combattimento per
quest'impresa. Poi venne il loro turno. Guidò con maestria la carica sul
retro, capeggiando cinque cavalieri armati di lance e scudi. Il Conte
ed il prete caricarono all'unisono, le spade sollevate, urlando al
vento.
Friederich falciò un paio di uomini; lo stesso riuscì a fare
Leitdorf.
Ben presto urlarono vittoriosi quando anche l'ultimo nemico
fu sconfitto.
Friederich però non vide il comandante avversario,
cosa che lo turbò.
''E se fosse tutta una trappola?! E se..'' - si
stava chiedendo, ma un grido di battaglia proveniente dal fianco lo
distolse dai suoi pensieri. I nemici avevano previsto il suo piano ed
ora stavano controcaricando.
Friderich riposizionò la cavalleria e
tentò di rispondere all'attacco, ma i nemici parevano infiniti e
continuavano a fluire dai boschi.
Ad un tratto fu disarcionato,
cadendo con la spalla sinistra su di un masso.
Urlò dal dolore, ma il
suo grido disperato fu coperto dal cozzare dell'acciaio e dagli echi
dello scontro. Si rialzò a fatica, scorgendo il comandante delle forze
caotiche. Impugnò la spada, ma non potè fare altrettanto con lo scudo:
probabilmente si era rotto il braccio.
Il sigmarita si fece largo tra
i nemici con abili e precisi fendenti di spada, traboccante di rabbia.
Giunse in un punto un pò più isolato dalla battaglia, dove iniziò lo
scontro con l'avversario, il quale lo accolse con un ghigno.
Le spade
dei due si incontrarono plurime volte, risuonando come tuoni nello
spazio circostante. Le loro abilità si eguagliavano, ma lo straniero
stava conquistando la supremazia, dato che il sigmarita era intralciato e
limitato a causa del braccio ferito.
Friederich faceva sempre più
fatica a mantenere salda la presa sulla spada e gli occhi sul suo
formidabile avversario, il quale ne approfittò per colpirlo con un
fenomenale fendente, disarmandolo.
Poi gli assestò un calcio al
petto, facendolo cadere a terra, indifeso. Friederich ripercorse i
momenti più felici della sua vita in un battibaleno, poi il ricordo
della testa di Hermann e dello straniero che mieteva vittime tra il
popolo lo riportarono alla realtà con rinnovata rabbia e forza di
volontà.
Il condottiero avversario tentò di colpirlo con un affondo,
ma Friederich si spostò velocemente rotolando su di un fianco, fino ad
arrivare alla sua spada. La raccolse e si rialzò, pronto a continuare e
vincere lo scontro.

Nuovamente le lame tracciarono dei segni nell'aria fino
a cozzare tra loro. Era come se i due stessero danzando trasportati da
un furore mistico.

Ad un tratto, Friederich schivò uno dei formidabili
fendenti sferrati dal nemico e riuscì ad assestargliene uno alla gamba
destra, aprendo una profonda ferita nella carne. Lo straniero cadde a
terra dal dolore e lasciò la presa sull'elsa della lama. Friederich
allontò la spada con un calcio, poi colpì l'avversario alla gamba
sinistra, rigirando la lama nella ferita: lo avrebbe fatto soffrire,
così come aveva fatto lui con la gente di Dulnheim.
L'altro girdò dal
dolore, prima che la spada del prete impattasse contro la sua gorgiera e
gli recidesse il capo, così come aveva fatto egli stesso con Hermann.
Friederich,
per quanto malconcio, ferito ed esausto, urlò al cielo - ''HERMANN, TI
HO VENDICATO!! Se puoi sentirmi, sappi che il tuo ricordo vivrà in
eterno..'' - poi, una lacrima si fece strada lungo le guance sporche del
prete.
Il trionfo del sigmarita, tuttavia, fu brutalmente oscurato
da un grido di aiuto: era Leitdorf.


Capitolo Decimo: ''La forza della Fede e della
Volontà: Vittoria e Ricostruzione''



In una radura, nei pressi di Dulnheim, 2518

Friederich si voltò appena in tempo per assistere alla
scena: un enorme demone alato era piombato sul campo di battaglia,
accanto al Conte e lo aveva disarmato prontamente.
Il Sigmarita fece
uno scatto in avanti per tentare di aiutare il povero Leitdorf, ma fu
accerchiato dai guerrieri nemici che lo costrinsero a fare da
spettatore.
Larudha, o meglio ciò che un tempo era la strega, ruggì
spaventosamente la sua rabbia contro il Conte, spalancando le voraci
fauci. Egli cadde a terra ed iniziò a tremare, questa volta non aveva
vie di fuga, solo un miracolo lo avrebbe salvato. Un paio di uomini,
fattisi largo tra le forze di Slaneesh, si frapposero tra l'enorme
creatura ultraterrena ed il malcapitato. Senza curarsene molto, il
demone balzò in avanti, afferrò i due spadaccini per la cintola e volò
in alto, verso le nubi. Ad un tratto si ritenne soddisfatto dell'altezza
raggiunta, dopodichè scagliò, entrambe le sue prede, con una forza
sovrumana nella direzione del Conte, quasi fossero proiettili. I due si
schiantarono al suolo, mancando di poco il bersaglio, ma facendolo
inorridire al rumore di ossa spezzate ed alla vista di crani fracassati.
Friederich,
nel frattempo, aveva sconfitto i guerrieri avversari, non senza subire
qualche altra lieve ferita, e si stava dirigendo verso il Conte. Altri
nemici gli si pararono dinanzi, bloccandogli la strada. Ormai il suo
esercito si stava sfaldando e stava per soccombere, erano rimasti in
pochi; i nemici parevano infiniti ed il Conte stava rischiando la vita.
Tutto sembrava perduto. Egli stesso stava perdendo le forze e cominciava
a sentire il peso della stanchezza e delle ferite.
Il demone planò a
terra, raccolse un'alabarda e si avvicinò a Leitdorf. - ''Come ci si
sente ad essere consapevoli che non si rivedrà più l'alba, eh Marius?'' -
la voce di Larudha proruppe dalla creatura, poi continuò - ''La tua
vita è durante anche troppo per i miei gusti, meriti la giusta punizione
per tutto quello che hai fatto e quello che hai fatto a me! TU VERRAI
IMPALATO NEL NOME DI SLANEESH!!'' - disse, accingendosi a trafiggerlo
con l'arma, ma fu distratta da un intenso e caldo bagliore che proveniva
dalle sue spalle, quindi si voltò.
Friederich era attorniato da una
sorta di aura luminescente, le sue ferite sembravano essersi sanate e
nei suoi occhi si potevano leggere la furia e la potenza che avrebbe
dispensato di lì a poco. Con estrema rapidità scattò in avanti,
trafiggendo alcuni guerrieri nemici, facendosi strada verso Larudha.
''TU!
Insulso essere spregevole!! Io ti ucciderò, QUI ED ORA!!'' - urlò
Larudha, mentre mulinava le mani in aria, tracciando simboli e
pronunciando parole sconosciute. Friederich non si scompose minimamente,
anzi, continuò la sua avanzata.
La creatura demoniaca creò una
enorme sfera infuocata che scagliò contro il prete, ma egli con un passo
rapidissimo la evitò, lasciando che fossero due guerrieri ad essere
colpiti.
Questa volta fu lui ad attaccare: un micidiale fendente
colpì il demone al costato, dilaniandone la carne. Larudha urlò dal
dolore, poi tentò di afferare Friederich, ma egli fu più rapido,
evitando la presa. La creatura volò in alto, tentando nuovamente un
attacco magico. Questa voltà il Sigmarita fece appello ai suoi poteri
divini per fermare il potente incanto del demone, riuscendoci. Larudha
scorse due palle di cannone sul campo, quindi atterrò velocemente e le
raccolse, scagliandole con grande potenza verso Friederich. Una mancò,
ma l'altra colpì il terreno ai suoi piedi, esplodendo.
Il prete si
coprì le orecchie per il forte rumore provocato dallo scoppio,
distraendosi. Larudha ne approfittò e lo caricò frontalmente,
scaraventandolo al suolo. Raccolse la sua spada e disse - ''Dì le tue
ultime preghiere, prete! E' giunta la..'' - le parole le si spensero in
gola: Leitdorf, fattosi coraggio, aveva raccolto una lancia da terra e,
tra lo stupore generale, aveva trafitto la creatura al cuore. Larudha
stramazzò al suolo, in preda alle convulsioni. Friederich si rialzò,
recuperò la spada sottratagli dal demone e ne recise il capo. Era
finita. Avevano vinto, erano rimasti in pochi, ma ci erano riusciti. I
restanti guerrieri del caos si dispersero, non avendo più nessun
generale. I superstiti raggiunsero le donne ed i bambini, riconducendoli
alla città.
Due giorni dopo ci fu una grande festa, ma il Conte non
volle restare e si fece scortare da una decina di uomini fino ad
Averheim, capitale del suo regno; ne aveva decisamente avute abbastanza,
infatti non si sarebbe più mosso dal suo castello per un bel pò di
tempo.
La città fu ricostruita per la seconda volta, ma fu ingrandita
ulteriormente e ben presto tutti vennero a conoscenza delle gesta del
prete di Sigmar Friederich Von Strum e della gente di Dulnheim. Durante
la ricostruzione, fu messa, al centro della piazza principale, una
enorme lastra di marmo che recava incisi su di sé i nomi di tutti coloro
che avevano perso la vita nella grande battaglia contro le forze di
Slaneesh. Una statua tributaria fu costruita in onore del Capitano
Hermann, per il volere del popolo e del suo caro amico. La città divenne
sempre più grande ed importante, tanto che la chiesa di Sigmar divenne
molto presto un tempio ed un paio di scuole di magia sorsero all'interno
della città. Infine, Friederich suggerì di cambiare il simbolo della
loro città in una Fenice splendente: come la fenice, Dulnheim era
risorta ben due volte dalle ceneri e lo avrebbe fatto ancora.
Un
periodo relativamente lungo di pace perdurò tra le mura della città,
ormai una seconda capitlae dell'Averland, ma nessuno vi vide mai più il
Conte Leitdorf.

Circa tre mesi
più tardi, Averheim, 2518

Il Conte, dagli
avvenimenti di alcuni mesi prima, non si era ancora del tutto ripreso,
anzi, non lo avrebbe mai fatto fino alla sua morte.
Una mattina, al
suo risveglio, sentì un forte dolore alla testa. La notte precedente
aveva avuto un sonno travagliato, pieno di incubi alternati a momenti di
sonno. Dopo aver fatto colazione ed aver svolto un paio di mansioni
veloci, tornò nella sua camera, con l'intenzione di riposare.
Allontanò
i servi e si fece lasciare solo. Si avviò verso il letto, quando il suo
sguardo incontrò una strana e minuta sagoma circolare sul tappeto: un
anello...

Storia di
LucklamFrost
redatto da
Soveliss

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la guardia di dulnheim by LucklamFrost
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