LucklamFrost Nano
Numero di messaggi : 451 Età : 33 Località : Napoli, Italia Data d'iscrizione : 05.02.10
| Titolo: La storia di Dulnheim - Racconto completo Mar Mar 23, 2010 4:44 pm | |
| Bene, ho deciso di raccogliere tutti i capitoli del racconto da me scritto in un singolo post, così da facilitare la lettura a chi volesse leggerlo Capitolo Primo: ''Pessima giornata''Averland, anno 2518
Era un giorno come tutti gli altri per il lunatico ed eccentrico Marius Leitdorf, Conte Elettore dell'Averland, tranne per il fatto che avrebbe dovuto andare in visita presso la cittadina di Dulnheim, ricostruita da circa due mesi dopo un lungo assedio dei pelleverde. Proprio quella mattina, il suo vestito migliore si era macchiata pre colpa di uno sbadato inserviente (il quale fu prontamente imprigionato a tempo indeterminato), per questo il Conte era un tantino irritato. Come di consueto, non aveva memoria dei propri impegni, così, quando fu informato dell'incombente partenza, il suo umore peggiorò vistosamente, andando ad accantonare qual briciolo di razionalità che ancora albergava nella mente del povero Leitdorf. Egli si diresse con foga verso la propria camera ed iniziò a prepararsi, quando ad un tratto ebbe una sorta di illuminazione: fece convocare al suo cospetto il conestabile, con l'intenzione di inviare un messaggero a Dulnheim per disdire l'impegno preso. Suo malgrado però, il conestabile, con il garbo e l'affabilità che si addicono ad un cortigiano che si rispetti, gli ricordò che sarebbe stata già la terza volta in meno di un mese, così il Conte, ormai avvilito e frustrato, si risolse a partire, di modo che avrebbe finalmente adempito all'indesiderata mansione. Circa mezz'ora più tardi, egli era già in viaggio, comodamente sdraiato sul divanetto all'interno della sua lussuosa carrozza. Al suo seguito viaggiavano una decina di cavalieri armati di tutto punto, le armature lucidate e gli elmi sul capo, seguiti a loro volta da un gruppetto di servi del Conte, sempre a cavallo. A precedere il passo di Sua Regalità, invece, c'erano degli esploratori con archi, balestre ed archibugi, di modo che con i loro cannocchiali ed alcuni falchi, avrebbero potuto sventare eventuali imboscate o avvertire la carovana per tempo, questo, teoricamente. Ad un tratto mentre Leitdorf era sul punto di cedere alla stanchezza, udì uno sparo, poi un altro ed un altro ancora. Poi rumore di zoccoli e spade: la carrozza cessò di muoversi. Poi un lunghissimo silenzio. Egli rimase in attesa, immobile, la mano serrata attorno all'elsa della spada, prezioso cimelio di famiglia e compagna di molte battaglie. ''Che pessima giornata..'' - pensò il Conte - ''avrei fatto meglio a non dare ascolto a quel dannato conestabile..''. Dei secondi passarono e divennero ben presto minuti, poi l'ansia e la paura colsero Leitdorf: come mai tutto era fermo e così silenzioso? ''Che pessima giornata..'' - ripetè. Leitdorf ancora non sapeva che non bastavano un vestito macchiato ed i suoi impegni da Conte per rendere una giornata pessima, ma lo avrebbe scoperto presto, molto presto...
Capitolo Secondo: ''Incubi Diurni''
In un luogo imprecisato nell'Averland, 2518
Nessuno sa con certezza se a spingere il Conte ad uscire dalla carrozza furono uno sprazzo di lucidità o la sua pazzia. Forse nessuna delle due, semplicemente la paura. Fatto sta che non appena i suoi occhi si adattarono alla luce del Sole, ebbe un mancamento per la scena che gli si parò dinanzi: la carrozza era ferma su una stradina sterrata circondata dal bosco, la luce irradiava a stento la zona; tutti i suoi uomini erano spariti, compresi i cavalli ed il cocchiere. Come prima cosa si lasciò cadere al suolo per cercare i segni del loro passaggio, sperando di trovare una pista o almeno di capire cosa fosse successo, ma fu tutto inutile. Si rialzò, si diede una spolveratina al vestito e si guardò intorno. Quello che vide non fu rassicurante: il Sole stava calando, probabilmente avrebbe avuto poco più di un'ora di luce. Iniziò a tremare. La paura aveva quasi preso il sopravvento sullo sventurato Leitdrof, quando, ad un tratto, la sua vista ben sviluppata colse con la coda dell'occhio uno scintillio qualche metro più avanti di dove era ferma la carrozza. Egli si avvicinò e raccolse la fonte di tale bagliore, esaminandola: un anello. Era un anello metallico, probabilmente d'argento, intarsiato all'interno con piccolissimi simboli strani, quasi sicuramente si trattava di una lingua a lui sconosciuta, non che ne conoscesse altre al di fuori del Reikspiel. Pose l'anello in controluce, di modo che i simboli fossero meglio visibili, ma non ottenne molto. Poco dopo, stanco, impaurito e solo, si sedette con la schiena appoggiata allo spesso tronco di un albero al limitare della strada ed iniziò a riflettere. Mai come allora, si sentì pieno di raziocinio e lucidità, cosa strana per una persona come lui. La sua prima ipotesi fu di essere vittima di un complotto, abituato com'era a vedere nemici ovunque, ma ben presto cambiò idea e si autoconvinse che tutto ciò non era possibile, quindi l'unica spiegazione era che quello che stava vivendo era tutto un sogno. ''E' solo un sogno.. è solo un brutto sogno..'' - iniziò a ripetersi. Cominciò a vagare senza meta, seguendo la stradina, infinita solo a guardarla, forte ormai della sua convinzione. La monotonia del paesaggio era disarmante e sinistra, ma non per Lietdorf, non ora che credeva di essere in un sogno. Appunto, credeva. Dopo neanche un centinaio di metri percorsi, udì un rumore provenire dalla foresta, alle sue spalle. Si bloccò di colpo, paralizzato dalla paura. Con una lentezza innaturale, volse il capo nella direzione da cui aveva udito il sinistro fruscio. Sbiancò, poi il buio.
Capitolo Terzo: ''Luna Insanguinata''
Dulnheim, 2518
Era il crepuscolo, quando Leopold, un ragazzino di appena tredici anni, avvistò in lontananza una schiera di cavalieri seguiti da una carrozza mentre si dirigevano verso Dulnheim. Corse subito ad avvisare gli altri che il Conte Leitdorf stava per arrivare, così furono subito terminati i preparativi per l'accoglienza dei viaggiatori e furono portati in piazza i fuochi d'artificio che sarebbero stati mostrati al Conte. C'era un'atmosfera di eccitazione, una sorta di elettricità permeava la zona. Il Conte era finalmente arrivato a Dulnheim e avrebbe visitato la cittadina dopo la ricostruzione, avrebbe riposato in uno dei comodi letti messi a disposizione dai gentili abitanti, avrebbe assistito allo spettacolo pirotecnico ed avrebbe cenato al grande tavolo imbandito al centro della piazza principale. Il giorno seguente invece, avrebbe conosciuto il Capitano Hermann ed il giovane prete Friederich Von Strum, coloro che avevano spezzato l'assedio dei pelleverde qualche mese prima ed avevano dato anima e corpo affinchè la ricostruzione fosse ultimata il prima ed il meglio possibile. Qualche minuto dopo, i cancelli furono aperti e la carovana si fece largo tra la folla, all'interno della cittadina fluviale. Tutti avevano lo sguardo fisso sui cavalieri e sulla carrozza aurea, dalla quale sarebbe scesa Sua regalità. Friederich notò qualcosa di strano, ma non sapeva ancora bene cosa: gli era parso di udire qualcosa sibilare all'interno della carrozza. Le armature dei cavalieri inoltre, sembravano risplendere di un flebile bagliore tra il rosa ed il viola. ''Saranno le torce o la luce degli astri'' - ipotizzò. Ma, per sua sventura, così non era. La folla, intanto, si allontanò dalla carovana con riverenza e timore allo stesso tempo, le gesta folli del Conte non erano certo rimaste alla sua corte. Ci furono alcuni secondi di silenzio totale, nell'attesa che Leitdorf si facesse vedere, ma ciò non avvenne. I cavalieri smontarono dai cavalli. Intanto, altri uomini a piedi, con le stesse armi ed armature dei cavalieri, entrarono dal cancello, che nel frattempo era rimasto aperto, ma nessuno sembrò curarsene. Poi, una tenda della carrozza fu scostata da uno dei cavalieri, probabilmente il Precettore. A rompere il silenzio, fu il frastuono provocato dalla chiusura del cancello da parte degli uomini del Conte. All'unisono, essi sguainarono le spade ed imbracciarono gli scudi. Un uomo, alto e robusto, scese lentamente dalla carrozza: il suo viso era pallido, gli occhi erano giallastri e vitrei, l'armatura dorata. Egli si avvicinò al capitano Hermann, sguainò la spada e con una rapidità che non è di questo mondo, gli recise di netto il capo. Ci fu un momento di confusione generale e la folla cominciò a fuggire e strepitare. Friederich impallidì quando assistette alla scena. L'immagine della testa di Hermann che rotolava via dal corpo lo tormentò mentre corse verso la chiesa di Sigmar. Il nefasto sconosciuto urlò al cielo - ''PER SLANEESH!'' - poi, rivolgendosi ai suoi - ''Non lasciate superstiti, uccideteli tutti, ma prima uccidete i bambini davanti ai loro occhi.'' - mentre un ghigno prendeva forma sul suo volto.
Capitolo Quarto: ''Ombre dal passato''
In un luogo imprecisato nell'Averland, 2518
''Vieni.. vieni da me.. io ti accoglierò come fossi tua madre.. non avere paura.. vieni da me.. VIENI DA ME!!'' Leitdorf si riprese di soprassalto. Lentamente aprì gli occhi, tentando di abituarsi al buio circostante. Aveva un mal di testa lancinante, come mai prima di allora. Capì che non era in un sogno, almeno non in quel momento. Si rialzò a fatica, facendo leva sulla sua spada. Aveva sognato di essere disarmato, nudo, vittima delle torture mentali di Larudha, una strega del culto di Slaneesh che egli stesso uccise tempo addietro; ella giurò che si sarebbe vendicata. Ben presto, il Conte comprese di essere nello stesso luogo in cui si trovava prima di essere colpito alla tempia ed al torace da un orso nero. Toccò il punto in cui aveva ricevuto il colpo, il sangue si era già seccato. Stranamente però l'orso non aveva infierito su di lui, evidentemente qualcosa doveva averlo spaventato. La testa gli provocava un dolore indescrivibile che continuava ad aumentare. Con una mano si asciugò il sudore che gli imperleava la fronte e quando fece per asciugarla sulla veste, notò qualcosa di strano ed inquietante: aveva l'anello, ritrovato qualche ora prima, al dito medio, ma non ricordava di esserselo messo: ora emanava un lieve bagliore rosastro. Istintivamente, provò a toglierselo, ma non appena lo toccò, gli sembrò che la sua testa stesse esplodendo e si accasciò al suolo. Capì che non era una casualità, qualcuno si stava divertendo alle sue spalle. Si fece forza e si alzò ancora una volta e cominciò nuovamente a seguire la strada, determinato a trovare la fonte degli eventi accadutigli quel giorno. Quasi due ore più tardi, la stanchezza prevalse su di lui, così si addentrò nella foresta per trovare un riparo. Poco dopo riuscì a trovare una piccola cavità naturale, dove si sdraiò, aspettandò che il sonno lo cogliesse. Ci volle poco. Il suo fu un sonno tormentato ed irrequieto: fece di nuovo lo stesso incubo, ripetutamente. E ripetutamente si svegliò e si riaddormentò.
La mattina seguente, il mal di testa sembrava essere diminuito; ne approfittò per riprendere la strada. Trovò un ruscello, dal quale bevve e si lavò superficialmente. Scoprì ben presto di essere affamato, così si mise in cerca di cibo: trovò dei frutti invitanti ed alcune bacche. Non erano di certo un pasto regale, ma l'istinto di sopravvivenza lo convinse a cibarsene e portarne altri con sé. Dopo circa altre due ore di cammino, riuscì a scorgere in lontananza le mura di una cittadina, ma delle fiamme danzanti e dei serpenti di fumo nero si levavano dal loro interno. La testa del Conte riprese a far male, a tal punto che cadde in terra, febbricitante. Tutto ciò che vide furono alcuni uomini che lo trascinarono al buio di un tugurio, dove perse conoscenza.
Capitolo Quinto: ''Perdizione''
Dulnheim, 2518
Un getto d'acqua gelida sul viso fece si che il Conte si riprendesse rapidamente. La testa bruciava, sentiva le palpebre pesanti e le forze lo avevano quasi abbandonato: erano gli effetti di un male che la medicina dell'epoca non avrebbe potuto curare, poichè non era di origini naturali. Riuscì a malapena a sedersi ed appoggiarsi al muro alle sue spalle, poi si guardò intorno: era in una sorta di cella sudicia e colma di un tanfo di cadavere che gli dava il voltastomaco. I suoi aguzzini non ci misero molto a palesarsi: un uomo di media statura, capelli lunghi e neri, occhi color ghiaccio; ed una donna, piuttosto alta e bella, capelli rossi ed occhi verdi. Gli intimarono di alzarsi, ma lui non ce la faceva, non in quelle condizioni. L'uomo lo sollevò di peso e lo trascinò con sé, fuori dalla cella. Fu portato, non senza essere strattonato plurime volte, in un'altra stanza illuminata da torce e priva di finestre; probabilmente si trovava in un sotterraneo. Al centro della stanza c'era una gabbia e dentro di essa, una fanciulla, avrà avuto si e no dodici anni. Da un luogo imprecisato, si mostrò una donna anziana, capelli radi, grigi e sporchi; occhi vitrei, come quelli di una persona che non ha mai conosciuto l'amore e la felicità. Inizialmente Leitdorf non la vedeva bene, ma quando mise a fuoco l'immagine e la sua memoria, per quanto fallace, la abbinò a Larudha, egli ebbe un tremito di paura. Sapeva che probabilmente non avrebbe mai più rivisto la luce del Sole. Iniziò a biascicare preghiere per un dio in cui non credeva. ''Che uomo ipocrita, stolto ed inutile che sei, caro Marius.. non sei cambiato affatto!'' - disse Larudha. ''Credi davvero che Sigmar possa impedire al destino che ho in serbo per te di compiersi?! SCIOCCO!'' - ella continuò; il tono si faceva via via più concitato. ''Mettetelo in piedi, dategli la sua spada e lasciateci soli.'' - disse ai due aguzzini, evidentemente suoi sottoposti o, semplicemente, dei mercenari. Essi ubbidirono. Leitdorf sentiva il peso del suo male su di sé, sentiva che la vendetta di Larudha non si sarebbe limitata ad una morte rapida, ma lo avrebbe fatto soffrire. Questa volta ci vide giusto. Larudha aprì la gabbia e fece uscire la ragazzina, la quale, spaventata, si mise a piangere. ''Uccidila!'' - intimò la strega al Conte. ''UCCIDILA ORA!'' - continuò. Leitdorf non gradiva la prospettiva di uccidere una fanciulla e tentò il dialogo: ''Come fai ad essere ancora viva, eh Larudha?'' - disse - ''Tu sei morta per mano mia, uccisa dalla lama della stessa spada che ho in mano in questo momento'' - continuò lui - ''Questa lama si è bagnata del tuo sangue, non credi che sia ora di 'rinfrescarele' la memoria?''. ''Oh, mio caro Marius, non essere così pieno di te.. sei debole, malato e pazzo. Ma, cosa più importante, sei in mio potere. Vedi quell'anello? Bene, quello mi permette di leggere nella tua mente ed infliggerti dolore tramite il pensiero. Posso anche comandare i tuoi flaccidi muscoli, se lo voglio.'' - replicò Larudha - ''Ora, tu ucciderai questa vergine! TU! Tu sei l'ingrediente principale del mio rituale!''. I muscoli del Conte non risposero più ai comandi. Si avvicinò alla ragazza, sollevando la lama. Quando fu abbastanza vicino, tentò con tutte le sue forze di riprendere il controllo del suo corpo, ma invano. Poco dopo, il suo braccio divenne quello di un boia e la testa della fanciulla rotolò via dal suo corpo: il viso del Conte assunse un'espressione di orrore e disgusto. Il rituale era iniziato, ormai, e nulla poteva più fermare il ritorno del Principe del Piacere e della Sofferenza. Il Conte aveva versato il sangue di una vergine innocente, il suo atto impuro e sacrilego sarebbe stato utilizzato per un rituale oscuro e malvagio. Leitdorf si sentì come una marionetta, i cui fili si stavano intrecciando. Irrimediabilmente.
Capitolo Sesto: ''Speranza''
Nei pressi di Dulnheim, 2518
Gli echi degli avvenimenti e dello scontro tenutosi la sera prima tormentavano Friederich. Si chiedeva perchè Sigmar, il dio che tanto pregavano, avesse permesso che ciò accadesse. Hermann, il suo migliore amico, era morto e non era certo l'unico: il bilancio della battaglia tra le forze di Slaneesh e l'esercito di Dulnheim pendeva a favore dei primi. Friederich fece una stima delle risorse umane e non che erano state esaurite la notte precedente: circa una trentina di uomini avevano tragicamente perso la vita, innumerevoli invece erano le bende e le erbe medicinali utilizzate; la polvere da sparo era quasi terminata ed era rimasto un solo cannone. A sua disposizione, aveva altri trenta uomini, forse qualcuno di più. Le donne ed i bambini erano stati portati in un luogo sicuro ed impenetrabile, dove Friederich ed Hermann erano soliti trascorrere i loro pomeriggi spensierati. Bei tempi quelli.. niente guerre, niente problemi, niente morti. Il prete iniziò a vagare nei dintorni del campo improvvisato, senza sapere neanche lui cosa stesse cercando. Ripensò alla battaglia: i suoi avversari erano inferiori di numero, ma la loro maestria nell'uso delle armi era quasi impareggiabile e fece la differenza contro un esercito impreparato come il loro. La sua fede e la sua volontà, quelle che fino a poco tempo addietro credeva ferree ed inattacabili, si ritrovavano ora a vacillare su di un immenso e minaccioso baratro, il cui fondo era oscuro. Ad un tratto, un ricordo riaffiorò nella mente di Friederich: quando era bambino, gli fu raccontata la storia di Brumvald; la ricordava a memoria:
''Brumvald era un giovane in cerca di fama, così per terre e per mari a vagare iniziò. Dove lo condusse la sua brama? Di questo, per narrarvi io sto. Egli era forte e spavaldo, nessuna paura aveva, ma per sua sfortuna, il demonio incontrò. Egli era un fiero guerriero, ma sconfiggerlo non poteva, così, per salvarsi, la fuga tentò. Il demonio alle sue calcagna si mise, ma Brumvald ebbe un'idea al calar della luce: attese; la creatura, stolta, lo raggiunse e lo derise. Il giovane eroe le volse uno sguardo truce, lo scontrò iniziò: con l'astuzia la ingannò, poi la sua lama impietosa sulla testa di essa calò.''
La filastrocca sollevò il morale di Friederich: se non potevano batterli con la forza, avrebbero usato l'astuzia. Sapeva che i nemici non avrebbero tardato ad attaccare nuovamente, la nebbia aveva solo fatto si che lo scontro fosse ritardato. Con la speranza rinvigorita, tornò dai suoi uomini e progettò la controffensiva: avrebbe posto alcuni balestrieri su un colle poco distante, così che avrebbero colto il nemico di sopresa con una salva di dardi. Dal fronte avrebbe fatto fuoco col cannone ed alcuni archibugieri. Dal fianco destro, poi, avrebbe mandato i dieci uomini più forti e resistenti che aveva. Dal retro, infine, sarebbe arrivato lui con un gruppetto di cavalieri d'elité. La nebbia e la scarsa visibilità avrebbero giocato un ruolo fondamentale nel suo piano; giocava sul fatto che gli invasori non erano abituati a tale clima, così i suoi avrebbero approfittato dello svantaggio iniziale per vincere la battaglia. Il suo, si convinse, era un piano ineccepibile e non aveva torto. Rese grazi a Sigmar per l'illuminazione e fece appello a tutte le sue forze. Questa sarebbe stata un'impresa epica, le loro gesta, comunque sarebbe andata, sarebbero state ricordate dai posteri: la storia avrebbe consacrato i loro nomi. Friederich poteva sentire la forza e la fede ritrovate scorrergli nelle vene, l'adrenalina mista al timore di fallire lo inebriarono. ''Questo giorno ci è propizio, possano tutti gli dei assistere alla nostra impresa!'' - urlò ai suoi - ''Questo è il giorno della rivalsa, questo giorno consacrerà Dulnheim e la sua gente.. tutti coloro che sono morti e che moriranno non lo avranno fatto invano! NOI VINCEREMO! Noi...'' Le sue parole gli si spensero quasi in gola quando vide il cielo divenire cupo, le nuvole scure e cariche di elettricità si fecero portavoce di un oscuro presagio di morte e disperazione.
Capitolo Settimo: ''Libertà''
In un sotterraneo di Dulnheim, 2518
Larudha aveva iniziato a danzare e parlare in una lingua sconosciuta al Conte attorno ad un calderone, colmo di uno strano liquido ribollente e maleodorante. Leitdorf percepiva il male adunarsi nella zona in cui si trovavano; l'anello al suo dito intensificò il bagliore che divenne di un rosa più vivo. Egli era ormai convinto che la sua vita stessa per giungere ad una spiacevole conclusione. Trovò un attimo in cui pentirsi di tutto quello che aveva fatto, giurò che se si fosse salvato sarebbe divenuto una persona migliore; avrebbe rispolverato e lucidato la sua ''aureola''. Ad un certo punto, Larudha interruppe il rituale. I suoi occhi erano divenuti bianchi ed aumentavano man mano in luminosità, quasi come fossero torce. Un bagliore accecante, colmo di un'energia mistica, proruppe all'interno della sala, travolgendo il Conte, il quale perse conoscenza. Si riprese qualche minuto dopo. Si sentiva decisamente meglio, era come se fosse stato revitalizzato; il male estirpato. Ci mise poco a scoprire con sommo orrore che Larudha stava subendo gli effetti di una qualche mutazione: due protuberanze stavano crescendo sulla sua schiena, altre due, più piccole, sulla sua fronte. Il corpo, da quello di una vecchia decrepita, si stava trasformando in quello di un demone alato dalla possanza epica. Leitdorf si accorse che l'anello si era carbonizzato, così, approfittando della situazione propizia, tentò la fuga. Si era però dimenticato dei due mercenari, che tentarono goffamente di acciuffarlo, ma invano. In un attimo fu allo scoperto. Si concesse qualche secondo per respirare a pieni polmoni e sentire i raggi del Sole su di sé, poi, conscio della situazione, riprese a fuggire. Corse per una ventina di minuti, poi, quando fu sicuro di non essere seguito, si lasciò cadere al suolo, la schiena rivolta al tronco di una quercia. ''CE L'HO FATTA!'' - esclamò, traboccante di gioia. Ma non era del tutto esatto: se il demone avesse conservato i ricordi di Larudha, avrebbe fatto di tutto per stanarlo e compiere la sua vendetta. Si rimise a correre dopo qualche minuto, cercando di non lasciare tracce troppo evidenti della sua presenza. Durante la corsa cercò di individuare possibili fonti di cibo e acqua, fermandosi alcune volte per i dovuti approvigionamenti. Dopo aver percorso più di quanto avesse mai fatto a piedi durante la sua vita, si fermò per prendere fiato e capire dove si trovasse. Il Sole stava per tramontare, era quasi il crepuscolo. Fu allora che udì delle voci in lontananza. In un primo momento rimase fermo ed in silenzio, ma le voci sembravano sempre più vicine; ad esse si aggiunse un rumore di passi nella boscaglia e quello di qualche ramo spezzato. Potevano essere dei Predoni. Non sapendo cosa fare, fu preso da un attacco di panico. Il terrore di perdere la libertà e, probabilmente la vita, così duramente riconquistata lo spinse a sguainare la spada: avrebbe combattuto se necessario, meglio morire lì che per mano di un demone o in un letto caldo e vecchio, attorniato da ipocriti che bramavano unicamente il potere. Inebriato dalla follia e dal coraggio, le mani serrate attorno all'elsa della fedele lama, corse nella direzione da cui provenivano i rumori, gridando al mondo intero il suo nome: - ''MARIUS LEITDORF, CONTE ELETTORE DELL'AVERLAND!!''.
Capitolo Ottavo: ''Prima della Tempesta''
In una radura, nei pressi di Dulnheim, 2518
Friederich stava ultimando i preparativi per il suo piano di battaglia, quando gli uomini che aveva mandato a prendere dei tronchi nella foresta tornarono eccitati e festosi, sostenendo di aver trovato il Conte. Il prete si diresse con passo svelto verso i suoi, ansioso di incontrare il Conte. Lo vide: era un uomo piuttosto alto, il viso pallido e scavato, occhiaie profonde attorniavano i suoi occhi. Aveva vestiti trasandati e sporchi, capelli lunghi e grigi, occhi verde chiaro, il colore della speranza. Nonostante il suo aspetto e ciò che aveva passato, un sorriso compiaciuto era impresso sul suo volto. Friederich si affrettò a trovargli una branda ed a prestargli cure mediche, dicendogli di riposare finchè avesse potuto, poichè entro breve ci sarebbe stata la battaglia definitiva. Leitdorf chiese spiegazioni e Friederich gli narrò l'antefatto, non senza una mesta espressione sul viso. Il Conte aveva troppo paura di partecipare alla battaglia, ma prima o poi avrebbe dovuto affrontare i suoi demoni. Il Sigmarita lasciò riposare il Conte, dirigendosi verso i suoi uomini, per prepararli alla battaglia imminente. Sentiva che i nemici erano vicini. La nebbia non tardò a formarsi, questa volta era più fitta che mai. L'umidità permeava la zona ed il vento soffiava impetuoso. Le nuvole nere erano scomparse, lasciando posto alla Luna, la cui luce, per quanto fioca, irradiava la radura donandole un aspetto spettrale. Leitdorf non riuscì a prendere sonno. Ben presto senti che Larudha si stava avvicinando, la loro era quasi un'empatia perversa. Sapeva che doveva combattere, la fuga non lo avrebbe portato da nessuna parte se non alla sua tomba. Avrebbe imbracciato la sua fedele lama. Avrebbe cercato di uccidere la strega, che ormai aveva preso le sembianze del Principe del Piacere e della Sofferenza, incarnazione del suo dio. Friederich fornì un cavallo al Conte, di modo che avrebbero caricato insieme dal retro la fanteria nemica. Il prete era determinato a vincere, ma era determinato oltremodo a vendicare Hermann: avrebbe ripagato il comandante avversario con la stessa moneta.
Neanche mezz'ora più tardi, le truppe nemiche si fecero strada nella radura. Fu allora che Friederich diede l'ordine. C'era però una variabile che non aveva considerato e di cui il Conte aveva dimenticato di riferirgli: Larudha.
Capitolo Nono: ''Vendetta''
In una radura, nei pressi di Dulnheim, 2518
''Adesso!!'' - fu l'ordine di Friederich ai suoi uomini, i quali prontamente misero in atto il piano. Una salva di dardi fu scagliata sui nemici, i quali, colti alla sprovvista, non poterono difendersi. Alcuni caddero, altri furono feriti. ''Fuoco!!'' - ordinò poi il prete. Gli archibugieri fecero fuoco dal fronte, poi fu il turno del cannone, il cui colpo esplose tra i seguaci di Slaneesh. Quando sentì che era il momento giusto, ordinò ai guerrieri armati di spada e scudo di caricare sul fianco. Erano un decina di uomini, non di più, ma Friederich aveva scelto i più esperti e forti in combattimento per quest'impresa. Poi venne il loro turno. Guidò con maestria la carica sul retro, capeggiando cinque cavalieri armati di lance e scudi. Il Conte ed il prete caricarono all'unisono, le spade sollevate, urlando al vento. Friederich falciò un paio di uomini; lo stesso riuscì a fare Leitdorf. Ben presto urlarono vittoriosi quando anche l'ultimo nemico fu sconfitto. Friederich però non vide il comandante avversario, cosa che lo turbò. ''E se fosse tutta una trappola?! E se..'' - si stava chiedendo, ma un grido di battaglia proveniente dal fianco lo distolse dai suoi pensieri. I nemici avevano previsto il suo piano ed ora stavano controcaricando. Friderich riposizionò la cavalleria e tentò di rispondere all'attacco, ma i nemici parevano infiniti e continuavano a fluire dai boschi. Ad un tratto fu disarcionato, cadendo con la spalla sinistra su di un masso. Urlò dal dolore, ma il suo grido disperato fu coperto dal cozzare dell'acciaio e dagli echi dello scontro. Si rialzò a fatica, scorgendo il comandante delle forze caotiche. Impugnò la spada, ma non potè fare altrettanto con lo scudo: probabilmente si era rotto il braccio. Il sigmarita si fece largo tra i nemici con abili e precisi fendenti di spada, traboccante di rabbia. Giunse in un punto un pò più isolato dalla battaglia, dove iniziò lo scontro con l'avversario, il quale lo accolse con un ghigno. Le spade dei due si incontrarono plurime volte, risuonando come tuoni nello spazio circostante. Le loro abilità si eguagliavano, ma lo straniero stava conquistando la supremazia, dato che il sigmarita era intralciato e limitato a causa del braccio ferito. Friederich faceva sempre più fatica a mantenere salda la presa sulla spada e gli occhi sul suo formidabile avversario, il quale ne approfittò per colpirlo con un fenomenale fendente, disarmandolo. Poi gli assestò un calcio al petto, facendolo cadere a terra, indifeso. Friederich ripercorse i momenti più felici della sua vita in un battibaleno, poi il ricordo della testa di Hermann e dello straniero che mieteva vittime tra il popolo lo riportarono alla realtà con rinnovata rabbia e forza di volontà. Il condottiero avversario tentò di colpirlo con un affondo, ma Friederich si spostò velocemente rotolando su di un fianco, fino ad arrivare alla sua spada. La raccolse e si rialzò, pronto a continuare e vincere lo scontro. Nuovamente le lame tracciarono dei segni nell'aria fino a cozzare tra loro. Era come se i due stessero danzando trasportati da un furore mistico. Ad un tratto, Friederich schivò uno dei formidabili fendenti sferrati dal nemico e riuscì ad assestargliene uno alla gamba destra, aprendo una profonda ferita nella carne. Lo straniero cadde a terra dal dolore e lasciò la presa sull'elsa della lama. Friederich allontò la spada con un calcio, poi colpì l'avversario alla gamba sinistra, rigirando la lama nella ferita: lo avrebbe fatto soffrire, così come aveva fatto lui con la gente di Dulnheim. L'altro girdò dal dolore, prima che la spada del prete impattasse contro la sua gorgiera e gli recidesse il capo, così come aveva fatto egli stesso con Hermann. Friederich, per quanto malconcio, ferito ed esausto, urlò al cielo - ''HERMANN, TI HO VENDICATO!! Se puoi sentirmi, sappi che il tuo ricordo vivrà in eterno..'' - poi, una lacrima si fece strada lungo le guance sporche del prete. Il trionfo del sigmarita, tuttavia, fu brutalmente oscurato da un grido di aiuto: era Leitdorf.
Capitolo Decimo: ''La forza della Fede e della Volontà: Vittoria e Ricostruzione''
In una radura, nei pressi di Dulnheim, 2518
Friederich si voltò appena in tempo per assistere alla scena: un enorme demone alato era piombato sul campo di battaglia, accanto al Conte e lo aveva disarmato prontamente. Il Sigmarita fece uno scatto in avanti per tentare di aiutare il povero Leitdorf, ma fu accerchiato dai guerrieri nemici che lo costrinsero a fare da spettatore. Larudha, o meglio ciò che un tempo era la strega, ruggì spaventosamente la sua rabbia contro il Conte, spalancando le voraci fauci. Egli cadde a terra ed iniziò a tremare, questa volta non aveva vie di fuga, solo un miracolo lo avrebbe salvato. Un paio di uomini, fattisi largo tra le forze di Slaneesh, si frapposero tra l'enorme creatura ultraterrena ed il malcapitato. Senza curarsene molto, il demone balzò in avanti, afferrò i due spadaccini per la cintola e volò in alto, verso le nubi. Ad un tratto si ritenne soddisfatto dell'altezza raggiunta, dopodichè scagliò, entrambe le sue prede, con una forza sovrumana nella direzione del Conte, quasi fossero proiettili. I due si schiantarono al suolo, mancando di poco il bersaglio, ma facendolo inorridire al rumore di ossa spezzate ed alla vista di crani fracassati. Friederich, nel frattempo, aveva sconfitto i guerrieri avversari, non senza subire qualche altra lieve ferita, e si stava dirigendo verso il Conte. Altri nemici gli si pararono dinanzi, bloccandogli la strada. Ormai il suo esercito si stava sfaldando e stava per soccombere, erano rimasti in pochi; i nemici parevano infiniti ed il Conte stava rischiando la vita. Tutto sembrava perduto. Egli stesso stava perdendo le forze e cominciava a sentire il peso della stanchezza e delle ferite. Il demone planò a terra, raccolse un'alabarda e si avvicinò a Leitdorf. - ''Come ci si sente ad essere consapevoli che non si rivedrà più l'alba, eh Marius?'' - la voce di Larudha proruppe dalla creatura, poi continuò - ''La tua vita è durante anche troppo per i miei gusti, meriti la giusta punizione per tutto quello che hai fatto e quello che hai fatto a me! TU VERRAI IMPALATO NEL NOME DI SLANEESH!!'' - disse, accingendosi a trafiggerlo con l'arma, ma fu distratta da un intenso e caldo bagliore che proveniva dalle sue spalle, quindi si voltò. Friederich era attorniato da una sorta di aura luminescente, le sue ferite sembravano essersi sanate e nei suoi occhi si potevano leggere la furia e la potenza che avrebbe dispensato di lì a poco. Con estrema rapidità scattò in avanti, trafiggendo alcuni guerrieri nemici, facendosi strada verso Larudha. ''TU! Insulso essere spregevole!! Io ti ucciderò, QUI ED ORA!!'' - urlò Larudha, mentre mulinava le mani in aria, tracciando simboli e pronunciando parole sconosciute. Friederich non si scompose minimamente, anzi, continuò la sua avanzata. La creatura demoniaca creò una enorme sfera infuocata che scagliò contro il prete, ma egli con un passo rapidissimo la evitò, lasciando che fossero due guerrieri ad essere colpiti. Questa volta fu lui ad attaccare: un micidiale fendente colpì il demone al costato, dilaniandone la carne. Larudha urlò dal dolore, poi tentò di afferare Friederich, ma egli fu più rapido, evitando la presa. La creatura volò in alto, tentando nuovamente un attacco magico. Questa voltà il Sigmarita fece appello ai suoi poteri divini per fermare il potente incanto del demone, riuscendoci. Larudha scorse due palle di cannone sul campo, quindi atterrò velocemente e le raccolse, scagliandole con grande potenza verso Friederich. Una mancò, ma l'altra colpì il terreno ai suoi piedi, esplodendo. Il prete si coprì le orecchie per il forte rumore provocato dallo scoppio, distraendosi. Larudha ne approfittò e lo caricò frontalmente, scaraventandolo al suolo. Raccolse la sua spada e disse - ''Dì le tue ultime preghiere, prete! E' giunta la..'' - le parole le si spensero in gola: Leitdorf, fattosi coraggio, aveva raccolto una lancia da terra e, tra lo stupore generale, aveva trafitto la creatura al cuore. Larudha stramazzò al suolo, in preda alle convulsioni. Friederich si rialzò, recuperò la spada sottratagli dal demone e ne recise il capo. Era finita. Avevano vinto, erano rimasti in pochi, ma ci erano riusciti. I restanti guerrieri del caos si dispersero, non avendo più nessun generale. I superstiti raggiunsero le donne ed i bambini, riconducendoli alla città. Due giorni dopo ci fu una grande festa, ma il Conte non volle restare e si fece scortare da una decina di uomini fino ad Averheim, capitale del suo regno; ne aveva decisamente avute abbastanza, infatti non si sarebbe più mosso dal suo castello per un bel pò di tempo. La città fu ricostruita per la seconda volta, ma fu ingrandita ulteriormente e ben presto tutti vennero a conoscenza delle gesta del prete di Sigmar Friederich Von Strum e della gente di Dulnheim. Durante la ricostruzione, fu messa, al centro della piazza principale, una enorme lastra di marmo che recava incisi su di sé i nomi di tutti coloro che avevano perso la vita nella grande battaglia contro le forze di Slaneesh. Una statua tributaria fu costruita in onore del Capitano Hermann, per il volere del popolo e del suo caro amico. La città divenne sempre più grande ed importante, tanto che la chiesa di Sigmar divenne molto presto un tempio ed un paio di scuole di magia sorsero all'interno della città. Infine, Friederich suggerì di cambiare il simbolo della loro città in una Fenice splendente: come la fenice, Dulnheim era risorta ben due volte dalle ceneri e lo avrebbe fatto ancora. Un periodo relativamente lungo di pace perdurò tra le mura della città, ormai una seconda capitlae dell'Averland, ma nessuno vi vide mai più il Conte Leitdorf.
Circa tre mesi più tardi, Averheim, 2518
Il Conte, dagli avvenimenti di alcuni mesi prima, non si era ancora del tutto ripreso, anzi, non lo avrebbe mai fatto fino alla sua morte. Una mattina, al suo risveglio, sentì un forte dolore alla testa. La notte precedente aveva avuto un sonno travagliato, pieno di incubi alternati a momenti di sonno. Dopo aver fatto colazione ed aver svolto un paio di mansioni veloci, tornò nella sua camera, con l'intenzione di riposare. Allontanò i servi e si fece lasciare solo. Si avviò verso il letto, quando il suo sguardo incontrò una strana e minuta sagoma circolare sul tappeto: un anello... | |
|